Mamma mia, è già passato più di un mese dal mio rientro in Italia e presa da mille cose, incluso stare sul divano a mangiare Nutella ed accarezzare il gatto, non ho più aggiornato il blog. Sarà che io non sono una travel blogger, scrivo solamente quando me la sento perché non dev’essere una forzatura con delle date da rispettare, ma un qualcosa che ho voglia di raccontare a degli amici virtuali, magari pure inesistenti, i miei lettori immaginari.
In realtà ho iniziato a scrivere quest’articolo sul volo di rientro da Portorico, avevo buttato giù due righe d’impulso, usando la scrittura proprio come sfogo. Ma rileggendolo, soltanto dopo poche ore di sosta a New York, provavo già delle sensazioni diverse, quindi l’ho mollato lì. Questo sta a dimostrare che mi è bastato cambiare “aria” per migliorare l’umore.
Vi avevo lasciati ai preparativi per la traversata Atlantica da Antigua all’Italia. Stavo organizzando la barca: dalla ricerca dell’equipaggio alla messa in sicurezza degli oggetti nel salone e nelle cabine, dall’inventario dei medicinali, del kit di emergenza e delle dotazioni di sicurezza al controllo della zattera di salvataggio, delle vele e del sartiame. Ed è proprio lì che è iniziato il casino. Sono saltati fuori alcuni problemi tecnici, in parte li abbiamo risolti, altri invece richiedevano ispezioni approfondite, le cose si sono fatte più complesse, i tempi si stavano allungando, io mi sono sentita immersa in responsabilità non mie e… boom! Ho perso la pazienza.
Allo stesso tempo ho ricevuto un messaggio da un Capitano con cui ero già stata in contatto lo scorso novembre ed anche in febbraio, onestamente in quelle due occasioni mi aveva lasciata un po’ dubbiosa, ma mi ha proposto un’alternativa interessante: navigare e fare surf per alcuni mesi tra Portorico, Repubblica Dominicana e Panama. In realtà, NAVIGARE era proprio il motivo che mi aveva spinta ad affrontare un viaggio durante la pandemia, che invece si era trasformato in una “sosta” su mezzi natanti ormeggiati ed ancorati. Mi vergogno un po’ a dirlo, ma devo ammettere che ho deciso di accettare il suo invito basandomi su degli aspetti superficiali: surfista californiano coi capelli biondi e lunghi. Le mie amiche lo sanno, ai capelli biondi e rigorosamente lisci non so resistere, ci casco sempre, lo so. Comunque, dopo alcune video chat in cui scopriamo di avere molti interessi in comune, ed in cui ci confrontiamo proprio sulle reciproche aspettative, decido di prenotare il volo per raggiungerlo, lui è entusiasta e non vede l’ora di conoscermi, mi scrive addirittura in italiano, vuole che glielo insegni. Dopo due giorni, scatta il primo allarme rosso: sparisce e non risponde ai miei messaggi. La mattina seguente chiedo spiegazioni e replica che non ha gradito il mio comportamento, aggiungendo che sarebbe meglio rinviare la mia partenza. Cosaaa?! Quale comportamento? Presumo, ma non me l’ha detto chiaramente, che si sia irritato perché non ho risposto ad un suo messaggio di “buonanotte” delle 23.22, ma io stavo già dormendo ed oltretutto il wi-fi non prende in cabina.
Fatto sta che i voli non sono né modificabili né rimborsabili. Rimango sbalordita e rifletto sul caratteraccio che potrebbe avere uno che si arrabbiata per questa sciocchezza. Mi sento in imbarazzo, non so cosa scrivere e anche se riprendiamo lo scambio di messaggi non sono a mio agio, ho quasi paura di dire qualcosa di sbagliato che lo faccia innervosire. Ma stiamo scherzando? Voglio veramente trovarmi in barca con una persona così suscettibile?
Non ho molto tempo per riflettere, mancano tre giorni alla partenza, ho già avvisato Armatore, Capitano e Lissi (la mia compagna di traversata) che non farò più parte dell’equipaggio, ci sono rimasti tutti molto male e me ne dispiace, contavano su di me ma io ho preferito seguire il mio istinto. Ma di questo ne parlo a fine articolo.
Il mio pensiero analitico si focalizza su Portorico. Dato che non ci sono mai stata, decido di andarci comunque, mal che vada mi faccio un giro in un luogo che non ho ancora visitato, quale sarebbe il problema, sono comunque una viaggiatrice solitaria. Comunico al californiano che ho deciso di prenotare un hotel e che se vuole possiamo conoscerci e in un secondo momento decidere se salpare insieme oppure no.
Atterro a San Juan a mezzanotte, prendo un taxi per raggiungere il mio alloggio situato proprio nel centro storico, ho scelto una sistemazione umile ed economica ma situata nella via principale della città vecchia, in modo da potere girare comodamente a piedi.
Dopo un sonno ristoratore esco in esplorazione e mi bastano pochi passi tra le vie di Old San Juan per sentirmi entusiasta e felice della mia scelta. La città è stupenda, fondata nel 1521 si sviluppa alla fine di una penisola che racchiude l’omonima baia, il perimetro è delimitato dalle antiche mura, dal castello di San Felipe del Morro e da altre fortezze, all’interno i vicoli di ciottolato si intersecano su è giù per il promontorio, le case e gli edifici sono dipinte in colori brillanti e tutte perfettamente ristrutturate. Il clima è fantastico.








Passo una bella giornata girovagando a caso, mi compro un vestitino e mi preparo per la cena con il fatidico nuovo comandante che, per farla breve, dopo aver guidato quasi 3 ore dal porto dove è ormeggiata la sua barca arriva alle 20,15, mi saluta a malapena, va nella camera che mi aveva chiesto di prenotare nel mio hotel, la guarda con aria schifata (io gli avevo mandato le foto e aveva risposto che non era il Ritz ma poteva andare bene per una notte), si doccia e cambia lentamente (peggio di una figa-di-legno-milanese), scende alle 20.45 ci dirigiamo verso un ristorante ma, ahimè, stanno tutti chiudendo perché alle 22.00 c’è il coprifuoco e devono avere il tempo di pulire a rientrare nelle loro abitazioni. Camminiamo per un’ora a passo spedito alla spasmodica ricerca di cibo, ma per legge tutti i ristoranti devono chiudere alle 21, lui ha l’aria infastidita io cerco di sdrammatizzare proponendo una ricca colazione la mattina seguente, finiamo in un quartiere popolare molto pittoresco in cui giovani portoricani fumano, bevono e ballano al ritmo di reggaetton sparato a palla da improvvisati dj set e car stereo, riusciamo ad acquistare una birra che beviamo camminando. Lui non spiccica una parola, io la prendo sul ridere e mi godo comunque l’imprevista serata, giunti al nostro hotel cinque minuti prima del coprifuoco, lui mi dice che ha deciso di cercare un’altra sistemazione, possibilmente col servizio in camera, rimango allibita ma lo saluto cortesemente augurandogli una buona notte.
La mattina seguente, solo in seguito ad un mio messaggio, mi comunica di essere ritornato alla barca. Quindi? Vien proprio da dirgli MA VA A CAGHER!!!
Avremmo dovuto passare la giornata insieme per conoscerci, anche se onestamente dopo il comportamento odioso della sera precedente io avevo già capito che con uno così non avrei avuto nulla da spartire, immaginiamoci ritrovarsi in mezzo al mare con uno che si altera per delle cose futili, l’ho scampata bella!
Eccomi quindi libera da impegni, in quel di Portorico con varie opzioni aperte: rientrare ad Antigua (ma nel frattempo la barca su cui ero han deciso si spedirla in Europa con un cargo), andare a St Marteen dove ci sono tante altre possibilità di imbarcarmi per la traversata Atlantica, oppure volare direttamente a casa. Un rapido controllo ai voli, mi salta all’occhio il prezzo del volo diretto American Airlines New York – Malpensa, solo 150 euro, bagaglio incluso. Al pensiero di rientrare in Italia provo un brivido di gioia, mi si illuminano gli occhi e capisco che è giunto il momento di tornare. Casa dolce casa, arrivoooo!
Resto a Portorico ancora un paio di giorni per visitare anche la parte nuova della città , soprattutto la zona di Contado che assomiglia molto a Miami Beach, alti hotel affacciati sulla spiaggia e lunghi viali costeggiati da palme ad ago, ne approfitto anche per salutare un amico di vecchia data, Ricardo, un surfista portoricano conosciuto a Bali nel 2002, rivisto a Roma nel 2010 e ad Assisi nel 2013… strana la vita e piccolo il mondo.
Il 24 aprile parto all’alba per New York City, atterro all’aeroporto JFK verso le 11.00 ma il volo per Milano è soltanto alle 19.00. Fortunatamente anche se il check in non è ancora aperto riesco a spedire lo zaino liberandomi da una grossa zavorra, mi informo su come raggiungere la città, ma anziché andare a Manhattan, dove sono già stata più volte diversi anni fa, decido di fermarmi nel Queens. Il trenino all’interno dell’aeroporto che connette i vari terminal fa capolinea alla stazione di Jamaica, un quartiere popolare, abitato da immigrati sudamericani, asiatici e presumo anche italiani. Una volta arrivata lì, percorro le vie principali e mi appassiono nel fotografare i palazzi di mattoncini con le tipiche scale esterne antincendio, poi mi addentro nelle vie interne e scopro un mondo a parte, non sembra nemmeno di essere a NY, o per lo meno la New York che conoscevo io, fatta di grattacieli e palazzoni, qui regna il silenzio, ci sono tantissime villette, costruite in legno, in pietra e nei classici mattoncini rossi, ne rimango estasiata, mi prendo qualcosa da mangiare in un supermarket e mi godo la giornata di sole seduta su una panchina sotto ad un albero in fiore, la brezza fresca porta via tutti i pensieri negativi che mi avevano ombreggiato la mente sul volo precedente, serena, respiro contenta di essere libera e sana per poter fare le scelte che voglio, anche quelle errate.









Post Scriptum
Quando sostengo di seguire il mio istinto mento a me stessa e se le cose vanno male lo incolpo, l’istinto, di non funzionare bene. In verità le sensazioni che mi dicono che sto sbagliando strada ci sono sempre ma le ignoro, le copro con un piano mentale ben schematizzzato, ho il cervello in formato Excell, e in più sono del segno della Vergine, pianifico tutto, come se si potessero pianificare i sentimenti e le emozioni. Forse stavolta ho imparato che se capitano degli imprevisti non bisogna incavolarsi, ma viverli nel migliore dei modi.
Un abbraccio a tutti dalla mia amata Sardegna.


