Mexico – Prova a prendermi

20 dicembre 2022

Due anni fa a quest’ora ero in partenza per le Grenadine, appena prima del secondo lockdown, l’anno scorso invece ho passato l’inverno a casa, in Sardegna, tranquilla, tranquilla. Ora sto scrivendo dal Messico, esattamente dalla Baja California del Sur. Sono qui da meno di una settimana ed ho già modificato due volte il programma, avevo pianificato di stare via molti mesi, ho uno zaino bello carico, che per me vuol dire 15 kg, non come i bagagli di certe colleghe che pesano 26 kg per un evento di 5 giorni. Ma torniamo a me ed al viaggio, due mesi fa ho risposto all’annuncio di un Capitano americano ultra sessantenne, che cerca equipaggio per veleggiare sulla costa Pacifica del Messico per poi proseguire verso sud ed in primavera fare la traversata oceanica verso la Polinesia Francese. Caspita, la cosa mi allettava molto. Ci siamo scritti e video-chiamati diverse volte, ci siamo raccontati tutto e le personalità parevano simili e compatibili. A novembre quindi ho prenotato i voli, me ne son serviti ben 5 ed un totale di 36 ore complessive di viaggio per spostarmi da Cagliari a La Paz, passando per Roma, Madrid, Guadalajara e Città del Messico. In aereo non sono riuscita a riposare molto e, come al solito, ho avuto freddo, seppur ben coperta. Sono arrivata quindi piuttosto stanca e scombussolata dal jet lag, il Capitano, che doveva venire a prendermi all’aeroporto non si vede. Mi connetto al wifi per controllare se ci sono messaggi e mi rendo conto che non ha nemmeno ricevuto quelli che gli avevo mandato la mattina al mio arrivo in Messico, provo a chiamarlo sia su Messenger che su WhatsApp, niente. Dopo circa mezzora d’attesa mi comincio a domandare se non ci sia sotto qualcosa di strano, un simpatico scherzetto, che faccio? Ho in mente due ipotesi: gli è venuto un infarto oppure gli è caduto il telefono in acqua. La seconda era quella esatta, dopo un po’ arriva tutto trafelato, scusandosi e raccontandomi l’accaduto: mentre smontava un pezzo del motore, ha dato una gomitata al telefono poggiato sulla scaletta, che dopo qualche salto è finito nella sentina (la parte più bassa del fondo della barca, dove si raccolgono vari liquidi), risultato: il telefono annega ed è praticamente impossibile recuperarlo in poco tempo. Dopo aver acquistato un nuovo telefono cerca invano di connettersi ai vari social, ma per via delle mille mila verifiche e codici di controllo che arrivavano sulla sim card che giace sommersa, è stato impossibile avvisarmi. Nulla di male, riprendiamo da qui. Salgo sull’auto del suo amico e giriamo per un paio d’ore per tutta la cittadina in cerca di alcuni attrezzi, il meteo non è dei migliori, il vento freddo che soffia dal nord ha abbassato notevolmente le temperature ed io che mi aspettavo un clima caraibico rimango un po’ delusa. Il freddo dei voli mi è entrato nelle ossa, sono veramente stanca, desidero tanto una bella doccia calda, ma ahimè arrivata in barca son stata informata che con il motore smontato non è possibile avere acqua calda e alla Marina non ci sono docce (strano). Sinceramente in 7 anni di esperienze di navigazione non ho mai fatto, né una doccia calda, né una doccia all’interno, mi bastava il doccino a prua, ma qui le cose sono differenti. Il mio giaciglio è il divano nel salone o dinette, la barca ha solo la cabina del capitano a prua perché la piccola cabina di poppa è stata destinata ad uso garage. Mi adatto e dopo essermi avvolta in diverse copertine di pile crollo in un sonno profondo già alle otto di sera. Proseguono giorni di varie riparazioni, ricerca materiali, attesa pezzi motore, riavvio telefono e relativi social network con annesso stress per la non riuscita connessione. Siamo all’ancora di fronte alla Marina di La Paz, l’acqua è scura e fredda, non ispira nessun tuffo, la cittadina ha un lungomare piuttosto moderno ed anonimo, costeggiato da palme ad ago, diverse bancarelle natalizie arricchiscono la passeggiata lungo il Malecòn, nulla mi sembra degno di interesse, se non i venditori di Tacos ai gamberi e il cheviche. La mattina mi sveglio con un senso d’ansia, un vuoto allo stomaco, non mi sento a mio agio. Io lo so il perché ma non è carino dirlo al Capitano, ognuno ha i suoi standard di igiene e di ordine, io non sono di certo la Principessa sul Pisello, però proprio non riesco ad adattarmi. Finalmente dopo 5 giorni ho l’opportunità di farmi una doccia calda a casa di amici del capitano, che bella sensazione. Non fraintendetemi, nel frattempo mi ero lavata a pezzi, un po’ come i gatti.

Dopo aver riflettuto attentamente ho preso la decisione di parlare al Capitano e lasciare la barca. In fin dei conti devo fare ciò che mi fa star bene, nessuno mi sta obbligando a stare a bordo, non ho firmato nessun contratto o fatto nessuna promessa, ma anche se fosse, non bisogna mai andare contro il proprio istinto. Dopo avergli parlato, anche sé è rimasto deluso, mi propone di andare insieme verso il parco naturale dell’Isola di Espiritu Santu, come era inizialmente in programma. Ma stare in mare in un posto deserto per 15/20 giorni, da soli su uno spazio ristretto come può essere un’imbarcazione a vela di 42 piedi (15 mt) mi spaventa, so benissimo che una giornata di 24 ore in mare sembra che duri il triplo, lui è un uomo gentile e premuroso a modo suo, ma ormai si è creato imbarazzo tra noi, come potrei essere serena e socievole? Attuo subito un piano B, per cercare consigli e suggerimenti scrivo un post su una pagina di Facebook di viaggiatrici solitarie che si chiama “Viaggio da sola perché…” , una delle lettrici commenta suggerendo di contattare un ostello nella località La Ventana, noto che è una destinazione per Kitesurfers e già mi brillano gli occhi, avevo iniziato a fare kite col mio ex alle Grenadine, e continuato in Marocco ed in Sardegna. Scrivo subito un messaggio chiedendo se hanno bisogno di volontari che lavorino qualche ora in cambio di alloggio, il proprietario mi risponde che hanno estrema urgenza ed io gli dico che sarei potuta arrivare il giorno dopo, ovvero oggi. Tutta gasata faccio lo zaino, il capitano mi accompagna in marina la mattina presto, ci salutiamo velocemente senza commentare la separazione delle nostre strade ma augurandoci reciprocamente buona fortuna, chiamo un Uber e nel giro di poche ore eccomi qui a scrivere un articolo, dopo aver già organizzato un’ulteriore fuga. Ovvero il Piano C.  Vi chiederete perché? Perché porca puzzola non c’è acqua, nemmeno qui riesco a lavarmi, scende solo un rivolo che basta a malapena per lavarsi i denti. Per fortuna non fa caldo e non sto sudando… però che cavolo. Che poi il posto è stupendo, un ostello dallo stile mexican minimal in muratura/cemento/resina, composto da diversi cottage privati, solo un dormitorio con 8 posti letto misti, tutte le altre camere sono matrimoniali o doppie con bagno privato. C’è una bellissima terrazza vista mare, un’area comune con diversi divanetti di fronte ad una cucina fruibile dai clienti con tre grandi frigoriferi e una zona bar, quella in cui io domani avrei dovuto iniziare a preparare smoothies (frullati di frutta) la mattina dalla 8 alle 12.00 Non riesco a capire perché ci sia una così grande differenza tra zona clienti e zona dipendenti, che poi non siamo nemmeno pagati quindi dovremmo avere qualche benefit in più. L’altro ragazzo è israeliano e a quanto pare è qui da diverso tempo, si occupa delle prenotazioni e dei check in, lui dorme in una tenda, quelle stile ‘Tè nel deserto’, io invece dormo in una roulotte posta sul retro della struttura che in un primo momento mi è sembrata abbastanza decorosa, poi osservandola meglio, anzi standoci dentro, ho notato che è vicino ad un generatore molto rumoroso e ad un grande serbatoio d’acqua, acqua che a quanto pare arriva solo ai bagni degli ospiti paganti. La roulottina è molto anni ‘70, divanetti azzurrini, delle specie di decorazioni rosa e un’esilarante moquette zebrata. Il materasso del letto è piuttosto sfondato, alcuni vetri sono rotti e la porta d’ingresso non si chiude, tira un vento freddo che manco sulle Alpi, fortunatamente ci sono due piumoni, spero di riuscire a dormire tranquilla, proverò a legare la maniglia con qualcosa che tiri verso l’interno. Ho già detto al proprietario dell’ostello (che non vive qui), che domani vado via perché ho ricevuto un’offerta di lavoro, lo so che non si dicono le bugie, ma a me che cosa è venuto in mente di venire a lavorare gratis, dopo aver passato una settimana in una situazione scomoda?! Dovrei coccolarmi un po’ di più e non fare sempre la donna avventura. Comunque ritorno a La Paz, l’hotel (si spera con acqua calda) è già prenotato. Ora vado a dormire. Alla prossima puntata.

Post Scriptum: durante la notte ho sentito toccare la porta cigolante della roulotte, mi è preso un colpo ma dopo un attimo ho visto entrare un gattone, che si è sistemato sul divano, ho dormito in compagnia. Ora faccio colazione col Pandorino che mi sono portata dall’Italia e un bel Chai Latte.

Volontariato in Marocco

Ai primi dell’anno ho contattato un’associazione Onlus per offrirmi come volontaria in un rifugio di cani e gatti randagi che ha sede in una zona non ben definita e alquanto deserta, poco all’interno dalla costa marocchina.
Sono partita a fine gennaio carica di energia e con le migliori intenzioni, ma ahimè, le aspettative ci fregano sempre, difatti la realtà non è quella che pensavo. Non tanto nel canile, di cui potevo immaginare la situazione critica, ma nella casa che ospita i volontari.
Ora segue una mera descrizione di ciò che ho visto e vissuto, che non vuol essere un giudizio, ma letteralmente la mia esperienza. Ci tengo a precisare che la gestione non è marocchina ma di alcune giovani ragazze europee/anglosassoni.

Atterro al tramonto e dopo circa un’ora di viaggio su un taxi sgangherato, che sfreccia tra il traffico, incurante delle precendenze e con l’autista intento a messaggiare sul telefonino, giungo miracolosamente salva alla residenza.
È già buio, non è molto illuminato, ma intravedo una palazzina di circa tre piani in tipico stile marocchino. Vengo accolta alla porta da un’altra volontaria, che mi fa entrare di corsa per non far scappare i cani in strada. Mi informano che in casa vivono cinque cani adottati dalle ragazze che gestiscono il rifugio, tre cuccioli che dovrebbero essere adottati a breve e circa sette gatti.
Al piano terra c’è un bagno, una camera da letto dei volontari (senza porta), una cucina a vista ed un soggiorno, anch’esso aperto, con un materasso rotto (presumo sia la cuccia dei cani), un tavolo e due panche per mangiare. L’odore in casa è agre.
Appoggio lo zaino per terra accanto al letto a castello che mi viene indicato, nella stanza ce ne sono quattro, ma non sono occupati da otto volontari, bensì solo cinque. Fortunatamente il mio posto é in alto, sui letti bassi ci sono alcuni cani, per questo mi suggeriscono di non lasciare mai nulla per terra perché ci fanno pipì ed i cuccioli mordicchiano tutto, soprattutto le scarpe.Mi guardo in giro, ci sono solo tre mobiletti già occupati, e carichi di cose varie, freesbee, sassi, avanzi di cibo, scarpe infangate, bottiglie e bicchieri… anche gli appendini a muro sono pieni, non so proprio dove appoggiare le mie cose e per ora le metto sul mio letto. Osservo sbalordita i materassi sprovvisti di lenzuola, appaiono macchiati di sangue, sporchi e bucati.Un pastore tedesco col naso che sanguina staziona con una ciotola di cibo su uno di essi, due o tre gatti raggiungono i posti in alto e dormono beatamente tra le lenzuola ed i vestiti di altri volontari.Prima di partire avevo domandato se fosse necessario portare il proprio lenzuolo (ne ho uno da viaggio fatto a sacco), ma mi han detto che c’era tutto ed io mi sono fidata. Il mio letto ha solo un piccolo lenzuolo (non ad angoli) appoggiato sul materasso, che non oso controllare, sopra c’è una coperta decisamente molto usata.
Mi chiamano per la cena proponendomi di fare una pasta, ma nel frigorifero non funzionante ci sono solo dei cetrioli e delle verdure fiappe a foglia larga a me sconosciute, una ragazza le cucina, insieme ad un bel po’ d’aglio e cipolle, e poi condisce la pasta aggiungendo anche delle uova strapazzate, ricetta alternativa.
Nel mobile in cucina c’è un gatto che dorme tra le confezioni di riso e spezie, dal cassetto delle posate ne spunta un altro, alcuni dopo cena passeggiano tra i fornelli ed il lavandino, leccando qua e là.
È ora di dormire, mi armo di coraggio e metto un pareo tra me e la coperta, una felpa sul cuscino; lo zaino, la borsa, il beauty etc in fondo ai piedi… non sono schizzinosa, però c’è un limite a tutto. Respiro profondo e via.
Durante la notte i cani abbaiano, litigano, giocano… Ed ovviamente cagano e pisciano in giro, la puzza giunge forte alle narici. La mattina il pavimento di tutta la casa è un campo di battaglia.
Solo un’altra volontaria sembra infastidita nel fare colazione tra le feci, gli altri si spostano tranquillamente facendo lo slalom tra le pipì, alcune coperte con la segatura altre no.
Mi mostrano il resto della palazzina, al piano sopra le due manager dormono in due stanze separate, su materassi per terra insieme a cani e gatti, la terrazza e le scale sono un cacatoio.
Giunge l’ora del mio turno al canile, che si trova al di là della strada, anche questa una palazzina di tre piani con annesso cortile e giardino suddivisi in diversi settori.
Ci sono circa centocinquanta cani e una ventina di gatti, alcuni animali sono malati, altri hanno subito amputazioni agli arti quindi stanno nelle varie stanze della villetta, ci sono dei copertoni di camion tagliati che fungono da cucce, ai cani sembra piacere stare a rotolino lì dentro, al riparo dalle cacche.Tutti, ma proprio tutti, i cani sono affettuosi con i volontari, appena entro nei recinti mi assalgono in cerca di coccole e carezze che non mi esimo dal donargli.
I turni sono di quattro ore per sei giorni la settimana, la mattina o il pomeriggio.
La prima cosa da fare è raccogliere le feci, io ci sono abituata, ho tre cani grandi e devo sempre ripulire il giardino, ma ahimè qui il suolo in parte fangoso in parte duro, di terra sconnessa e le cacche sono quasi tutte liquide, è praticamente impossibile raccattarle, soprattutto con le palette dal manico rosicchiato; i secchi in cui si devono depositare sono senza maniglia ed è scomodo sposarli, li devi prendere dal bordo che ovviamente è sporco ed essendo senza guanti, vi lascio immaginare come siano le mie dita. A volte capita di scostarsi i cappelli o grattarsi il naso senza pensarci… Bleah.
Dopo aver ripulito tutti i recinti, le scale, la terrazza e le stanze chiamate “infermeria”, bisogna fare alcune medicazioni, stendere il bucato, fare altre lavatrici, e dare la pappa a tutti, separandoli a gruppi di 10/12. Il processo dura almeno un’ora e mezza, con litigi vari di alcuni cani che non vanno d’accordo tra loro, con tono sicuro bisogna imporsi per farli calmare.
L’odore è forte, specialmente nelle stanze chiuse, in cui ci sono i cani malati, che si defecano addosso, la zona dei gatti poi è particolarmente puzzolente, il disordine regna sovrano, solamente al primo piano la cucina adibita a farmacia pare abbastanza pulita, ma quella al secondo ha pile di piatti sporchi nel lavandino, avanzi di cibo nelle pentole, gatti sdraiati ovunque, scarpe masticate, coperte ed asciugamani sporchi per terra, scatoloni, martelli, seghe appoggiati qua e là… Non c’è un senso logico a nulla.Una volta raccolte le cacche non è che non le rifacciano durante il turno, specialmente quelli con la diarrea, ma l’acqua scarseggia quindi non si lava per terra.
Finalmente arriva il momento di portarne alcuni a passeggio, due guinzagli a testa e via, fuori tra le colline per un’ora e mezza.Tutto questo lo ripeto per un paio di giorni ma la mia asma allergica è aumentata, e fondamentale non mi sento a mio agio quindi ho deciso di andare via. Mi spiace profondamente non mantenere la parola data, ma non riesco a vivere serenamente questa situazione, soprattutto in casa, ed ho preferito alloggiare in un paesino limitrofo e contribuire da qui andando qualche giorno al canile per portare i cani a passeggio.
Tutto questo mi ha fatto riflettere sul fatto che non bisogna fare qualcosa che ci fa stare male, altrimenti la si fa di malavoglia e non è sicuramente lo spirito del volontariato.
Sono volontaria da anni in diversi campi ed adoro i cani, ma in quella casa li stavo odiando e non è da me…
Troverò qualche altro modo per rendermi utile.
Non fraintendetemi, non sto assolutamente discutendo l’impegno per salvare gli animali e la buona fede delle ragazze che lavorano sodo per prendersene cura, però a vivere così io non c’è la faccio…

Ora vi saluto dalla terrazza di questo pulito e colorato Bed and Breakfast.

Mullumbimby’s wildlife

La settimana da Jane e Felicity è passata in un batter d’occhio, è stato piacevole addormentarsi col canto delle cicale e delle raganelle verdi, per poi risvegliarsi con i cinguettii dei lorichetti, delle gazze, dei corvi e, più che i canti, i versi del kookaburra, il tipico uccello australiano che sembra che faccia una risata. (Ascoltatelo qui )

Visto che non ho ancora programmato la prossima tappa, ho deciso di temporeggiare prolungando il mio soggiorno nelle campagne di Mullumbimby, quando una coppia di vicini mi ha offerto ospitalità in cambio di qualche ora di giardinaggio – pare che sia diventata un’esperta ora! 😉

Morag e Dean vivino in una meravigliosa grande casa in cima alla collina e la vista da quassù è estremamente rilassante.

Viaggio in questo modo, non soltanto per risparmiare e quindi avere la possibilità di passare lunghi periodi all’estero, ma soprattutto per conoscere profondamente il paese che sto visitando. Vivendo nelle case degli abitanti del luogo si ha modo di vivere la quotidianità della gente comune, cosa impossibile soggiornando in hotel, di qualsiasi categoria. A tavola si scoprono le usanze, le similitudini o le diversità, ci si racconta, passando dalle cose futili a percorsi personali.

Questa coppia, di quasi 60enni, ha viaggiato per gran parte del mondo e mi ha raccontato di essere stata di recente in vacanza in un piccolo paesino delle Marche e di aver gradito molto l’ospitalità locale. Come resoconto del loro lungo viaggio, più che Roma e Venezia, hanno apprezzato le semplici colazioni al bar della piazza di Penna San Giovanni, le stentate conversazioni coi vecchietti che giocavano a bocce, la spesa dal contadino e l’immancabile ricetta del Limoncello.

Ora ci attacco una cosa che c’entra poco col discorso di prima, ma è un mio pensiero, un mix di Giardinaggio/Ricerca Interiore/Crescita Personale che vorrei condividere.

Qualche giorno fa, con Jane, che è un’esperta di salvaguardia ambientale, abbiamo eliminato delle piante rampicanti che stavano soffocando alcuni eucalipti, nel fare quest’operazione mi sono immedesimata nell’albero, immaginando di togliere quei rami che mi impediscono di crescere/star bene. All’inizio, osservando la grandezza della pianta infestante (in questo caso una Lantana) ho pensato che fosse impossibile liberarsene, ma spezzando rametto dopo rametto, con impegno ed dedizione, sono giunta alla fine e la soddisfazione è stata immensa! 

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Welcome to the Gold Coast

Dopo aver contattato alcuni host nella zona di Byron Bay, mi risponde positivamente una certa Jane. Mi spiega che sta cercando di ri-forestare una area che un centinaio di anni fa era stata adibita a pascoli. Ora invece servono piante, soprattutto eucalipti, per ricreare l’habitat naturale per i koala, magari ne vedessi uno! 

Il progetto mi interessa molto. Salgo sul primo volo per Brisbane ed in meno di otto ore sono a casa sua.

La cittadina in cui mi trovo ha un nome piuttosto buffo: Mullumbimby, che in lingua aborigena significa “piccola collina rotonda”, dista circa 15 km dal mare ed è una località molto trendy, posso definirla Hippy Chic. 

Insieme ad un’altra volontaria, una ragazza spagnola arrivata il mio stesso giorno, in cambio di vitto e alloggio, la mattina dalle 8 alle 12, alterniamo il giardinaggio con la ristrutturazione della veranda della villetta, che è completamente immersa nel verde.


Nei terreni qui intorno oltre alle profumatissime magnolie, ci sono diverse piante di Melaleuca, da cui si ricava il mio rimedio naturale preferito, il Tea Tree Oil. Ma uno dei motivi principali che mi han fatto propendere per questo posto, è che ci sono anche tre cani meravigliosi, con cui siamo andate a correre nell’immensa spiaggia di Brunswick Head. Ma che dico correre?! che non l’ho mai fa in vita mia… loro correvano, io facevo le foto. 😉

Per ora, mi sembra che non possa andare meglio di così.

Wailoaloa beach clean up

Sono confinata qualche giorno al Bamboo Backpacker, un ostello che sorge direttamente sulla spiaggia di Wailoaloa, non lontano dall’aeroporto di Nadi, da cui partirò per… 

Ah ah ancora non ve lo dico 😉 

Dopo aver visitato sia la cittadina di Nadi che quella di Lautoka, fatto qualche bagnetto (ma l’acqua in questa zona non è per nulla invitante), ho deciso di pulire la spiaggia. 

Sere fa, passeggiando al tramonto, ho notato che appena superate le strutture ricettive che affacciano direttamente sulla spiaggia (ce ne sono quattro, una dietro l’altra), la situazione rifiuti tracolla, montagne di lattine di alcolici, rimasugli di festicciole serali e come sempre plastica ed ancora plastica.

Armata di un piccolo sacchettino ho iniziato ad impilare ciò che trovavo, non mancano mai i sacchetti di plastica, che almeno in questo caso si rivelano utili per il trasporto dell’immondizia raccolta. 

Trascinando due grosse buste sono passata davanti all’ostello, dove sotto lo sguardo degli ospiti ho raccolto altri rifiuti… Se ne fosse alzato uno per aiutarmi o almeno portare i sacchetti pieni… Niente, nessuno ha fatto una piega. Solo un local, a cui ho chiesto dove mettere il “malloppo”, mi ha ringraziata e chiesto da dove venissi.

Son contenta di aver fatto anche oggi il mio piccolo gesto per un mondo più pulito, ci avrò impiegato al massimo un’ora… E domani tocca al lato a nord!

L’ammutinamento di Infinity

Eh già… Dopo circa un mese a bordo di Infinity, ho deciso di abbandonare la nave, come ha fatto Schettino, ah ah, dai scherzo, non stiamo affondando e non ho nemmeno sequestrato il capitano, anzi gli ho parlato con le lacrime agli occhi, perché in fondo lui mi piace molto; è colto, gentile, disponibile al dialogo, preparato per la posizione che occupa e mooolto, molto paziente con tutti i membri dell’equipaggio, anche con quelli più distratti od imbranati.

È qualche giorno che rifletto su come mi sento ed ho pensato che devo seguire il mio istinto. Non è successo nulla di grave ma ho fatto la somma di alcune cose ed ho deciso di prendere un’altra strada. Come avevo già detto in un altro articolo, le persone a bordo sono squisite, amabili e simpatiche, però io sono una lupa solitaria e dopo un po’ la vita in comunità mi sta stretta. Inoltre dopo l’impegno umanitario durato cinque mesi a Tonga, ora sono tutti focalizzati sul Passaggio a Nord-Ovest, una spedizione estrema al Polo Nord, che includerà delle riprese video per cercare di sensibilizzare il mondo ai problemi ambientali. Erroneamente pensavo che durante il tragitto si facessero delle attività pratiche di salvaguardia degli oceani, ma tra l’approvvigionamento, la preparazione, la manutenzione della barca e le pubbliche relazioni per il coinvolgimento mediatico, sarebbe impossibile farlo. Avrei voluto essere più attiva fisicamente e darmi da fare in modo concreto, ma non è il momento giusto.

Quindi dopo aver imbarcato altri membri dell’equipaggio alle Fiji, Infinity prenderá il largo per Vanuatu, poi forse isole Solomon e Kiribati, per approdare a fine dicembre alle isole Marshall, in cui sosteranno per alcuni mesi per fare dei lavori alla parte meccanica.

Continuerò a seguirli tramite i social network, il GPS ed il canale YouTube SeaGypsies The Movie. Nel frattempo,  chissà dove mi porterà il vento…

La sensazione di libertà che si ha quando si cambia idea all’improvviso seguendo il proprio istinto è impagabile! 

Prime impressioni: un arrivo tragi-comico!! 😉

L’approccio è stato alquanto drammatico, sarà la stanchezza accumulata, saranno i bambini urlanti ma così di primo acchito non mi senyo un po’ strana è fuori luogo.

Ma andiamo per gradi: l’equipaggio è composto da tre uomini e cinque donne di nazionalità americana/australiana, di età compresa tra i 30/35 anni, tranne una ragazza californiana di soli 17 anni (che è qui sola da 6 mesi), più il capitano di origine tedesca con compagna e due figlie di 4 e 6 anni, che per la gioia di tutti 😉 in questi giorni hanno invitato due amichetti – e fan quattro bimbi che corrono su e giù per la barca! Ah dimenticavo, c’è anche Rascal, un bellissimo gatto rosso.

È sabato 28 ottobre e son tutti eccitati per la festa in maschera di Halloween anticipato che si terrà in un pub qui nella baia – io oooodio il carnevale e travestimenti vari… mi sforzo di non essere troppo asociale, ma nel locale vendono la connessione ad internet, quindi mi isolo per un’oretta. Niente da fare, nemmeno un paio di birre riescono a farmi passare la stanchezza e per via del jet lag non vedo l’ora di rientrare in cabina.

Secondo giorno. Ci svegliamo e scopriamo che la cucina e la stiva sono infestate dagli scarafaggi, forse saliti a bordo con qualche cassa di frutta e verdura alcune settimana fa ed ora son proliferati. Fortunatamente sono piuttosto piccoli, oppure sono tutti appena nati, fatto sta che dobbiamo svuotare completamente gli armadietti e tirare fuori i cassetti per disinfettare e piazzare trappoline di veleno.

Allora, ok che mi piace la trasmissione “Maniaci del pulito” (quella in cui le persone affette da manie di pulizia ossessive vanno a casa di accumulatori compulsivi e puliscono tutto a fondo), però non desideravo parteciparvi in prima persona.

Fortunatamente non sono schizzinosa e… bamg!, li spiccico a manate sul pavimento.

Ho passato la mattina a svuotare pensili e mobiletti, già che ci siamo ovviamente è meglio lavare tutto il contenuto prima di rimetterlo a posto, quindi nel pomeriggio io ed un’altra fortunata abbiamo tentato di scrostare cricca nera bruciata dalle teglie, pentole e padelle, usando solo paglietta ed acqua di mare (niente detersivo per non inquinare).

Un dolore al polso ed alla spalla, tanto che ad un certo punto mi son sentita Karate Kid “passa la cera – togli la cera”.

Ma parliamo di cibo. Con tutto questo lavorare  io avrei un certo languorino ma vedo che nessuno mangia o prepara nulla, vabbè che la cucina è completamente sottosopra, però uno snack… Niente, mangerò due banane. A colazione IO ho mangiato solo della macedonia, perché l’altra roba presente era una specie di riso bianco con la cannella ed altro ingrediente indecifrato – voleva forse assomigliare ad un budino di riso?! Il giorno prima ho intravisto un contenitore di plastica con della pasta corta e degli spaghetti tagliati, mischiati a delle catote (il colore era quello, ma non ho voluto approfondire) una proda ragazza l’ha mangiata aggiungendo una salsina arancione scuro (per rimanere in tinta).

Stasera (forse in mio onore) ancora spaghetti, quando lo hanno annunciato ho fatto una battuta dicendo che erano coraggiosi a cucinarli con un’italiana a bordo, han promesso di non scuocerli. Cosi è stato, ma non è bastato.

Se li lasci in un’insalatiera senza mettere l’olio e a lato metti una ciotola di salsa di pomodoro cruda con un quintale di aglio a pezzetti, viene ‘na schifezza. Si son complimentati tutti, io ho fatto finta di niente, scusate ma non so mentire, li ho mangiati solo perché avevo tanta, tanta fame.

Con questo passo e chiudo. 

Tra l’altro ho ancora fame e nella borsa ho solo dei tic tac.

PS il racconto è chiaramente scritto in chiave molto ironica. Va tutto bene

Accomodation, ovvero le varie sistemazioni in cui sono stata ospitata.

Ma dove mi avranno fatta dormire in questi mesi di girovagare??

Ecco alcuni esempi tra tende, cottage, letti , cabine…

Here follow a showcase of my accomodations. aren’t they awesome? Bloody awesome!!

 

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La tenda by night

MAUI, HAWAII – Private tent in the jungle

 

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NEW ZEALAND – My bungalow

 

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DOMINICAN REPUBLIC – Shared mixed room

 

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ST. LUCIA ISLAND – private studio with kitchinette

 

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NEW ZEALAND – Private cottage

 

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NEW ZEALAND –  Ocean view private bedroom

 

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BRAZIL – shared girls bedroom

 

 

 

Come viaggiare barattando il proprio tempo in cambio di vitto e alloggio

 

Partiamo subito col dire che in questo metodo di viaggio non c’è scambio di denaro; non dovrete pagare per essere ospitati e non verrete pagati per le mansioni che dovrete svolgere. Non è necessario quindi possedere un visto particolare, è sufficiente quello turistico.

Per spiegare bene a tutti come fare questa fantastica esperienza ho scritto un manuale, dove spiego passo per passo le procedure.

Lo trovate a questo link: Vagabondingirl, The Book

Di seguito troverete un assaggio delle mie esperienze.

Brasile _ Stato di Espirito Santo _ Setibao

Eco Camping e Ristorante, 10 volontari, durante la settimana abbiamo costruito coi pallet e pitturato panche e tavolini, nel week end io ero al bancone bar-pasticceria del ristorante.

 

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Caraibi _ Isola di St Lucia _ View Fort

Bed & Breakfast, unica volontaria, ho aggiornato con foto il loro sito web, sincronizzato un data base di più di 1000 contatti telefonici ed e-mail su pc e tel cellulare (aiutooo) fortunatamente poi mi rilassavo portando al mare i 4 cani … a volte cucinavo (strettamente vegan food)

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Hawaii _ Maui _ Haiku

Piantagione e chiosco frutta in un punto panoramico, 8 volontari, ci alternavamo al chiosco a fare frullati di frutta, crepes, spremere canne da zucchero per fare Sugar Cane Juice (non sapevo nemmeno esistesse) e vendere tutte cose naturali buonissime, oppure in cucina a preparare le torte alla banana e ananas (raccolte nella farm), gli impasti per crepes, essiccare le banane… ah dimenticavo siete capaci di aprire le noci di cocco con la mannaia!??!

 

 

Australia _ Queensland _ Whitsundays

Catamarano a vela, 2 volontarie ed il capitano, il mio compito era quello di aprire un blog, la pagina facebook ed altri social network, fare video e foto da mettere on line per condividere le nostre avventure, l’altra ragazza (con cui sono diventata super amica, Fedra) aveva il compito di cucinare e pulire. Tutte e due dovevamo inoltre fare le marinaie durante le traversate.

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Nuova Zelanda _ Auckaland

Casa privata, unica volontaria, ho fatto giardinaggio e piantato ortaggi vari… non so se poi sia effettivamente cresciuto qualcosa, ma so come si dice cariola in inglese! wheelbarrow 😛

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Nuova Zelanda _ North Island _ Ahipara

Casa privata con piscina, unica volontaria, ho aiutato la proprietaria (e suo genero) a costruire un pollaio e portavo i cani al mare a passeggiare.

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Intervista e Video alla trasmissione “Il Mondo Insieme”

Ed ecco qui la mia intervista in cui racconto le mie esperienze di viaggio/lavoro in giro per il mondo ed il video sulle avventure in catamarano in Australia.

Ero un po’ tesa.. eh.. ma Licia mi ha messo a mio agio 🙂

Stefi

A breve l’articolo con il riassunto delle varie esperienze di scambio/lavoro… Che trovate anche nella categoria Volunteering.