20 dicembre 2022
Due anni fa a quest’ora ero in partenza per le Grenadine, appena prima del secondo lockdown, l’anno scorso invece ho passato l’inverno a casa, in Sardegna, tranquilla, tranquilla. Ora sto scrivendo dal Messico, esattamente dalla Baja California del Sur. Sono qui da meno di una settimana ed ho già modificato due volte il programma, avevo pianificato di stare via molti mesi, ho uno zaino bello carico, che per me vuol dire 15 kg, non come i bagagli di certe colleghe che pesano 26 kg per un evento di 5 giorni. Ma torniamo a me ed al viaggio, due mesi fa ho risposto all’annuncio di un Capitano americano ultra sessantenne, che cerca equipaggio per veleggiare sulla costa Pacifica del Messico per poi proseguire verso sud ed in primavera fare la traversata oceanica verso la Polinesia Francese. Caspita, la cosa mi allettava molto. Ci siamo scritti e video-chiamati diverse volte, ci siamo raccontati tutto e le personalità parevano simili e compatibili. A novembre quindi ho prenotato i voli, me ne son serviti ben 5 ed un totale di 36 ore complessive di viaggio per spostarmi da Cagliari a La Paz, passando per Roma, Madrid, Guadalajara e Città del Messico. In aereo non sono riuscita a riposare molto e, come al solito, ho avuto freddo, seppur ben coperta. Sono arrivata quindi piuttosto stanca e scombussolata dal jet lag, il Capitano, che doveva venire a prendermi all’aeroporto non si vede. Mi connetto al wifi per controllare se ci sono messaggi e mi rendo conto che non ha nemmeno ricevuto quelli che gli avevo mandato la mattina al mio arrivo in Messico, provo a chiamarlo sia su Messenger che su WhatsApp, niente. Dopo circa mezzora d’attesa mi comincio a domandare se non ci sia sotto qualcosa di strano, un simpatico scherzetto, che faccio? Ho in mente due ipotesi: gli è venuto un infarto oppure gli è caduto il telefono in acqua. La seconda era quella esatta, dopo un po’ arriva tutto trafelato, scusandosi e raccontandomi l’accaduto: mentre smontava un pezzo del motore, ha dato una gomitata al telefono poggiato sulla scaletta, che dopo qualche salto è finito nella sentina (la parte più bassa del fondo della barca, dove si raccolgono vari liquidi), risultato: il telefono annega ed è praticamente impossibile recuperarlo in poco tempo. Dopo aver acquistato un nuovo telefono cerca invano di connettersi ai vari social, ma per via delle mille mila verifiche e codici di controllo che arrivavano sulla sim card che giace sommersa, è stato impossibile avvisarmi. Nulla di male, riprendiamo da qui. Salgo sull’auto del suo amico e giriamo per un paio d’ore per tutta la cittadina in cerca di alcuni attrezzi, il meteo non è dei migliori, il vento freddo che soffia dal nord ha abbassato notevolmente le temperature ed io che mi aspettavo un clima caraibico rimango un po’ delusa. Il freddo dei voli mi è entrato nelle ossa, sono veramente stanca, desidero tanto una bella doccia calda, ma ahimè arrivata in barca son stata informata che con il motore smontato non è possibile avere acqua calda e alla Marina non ci sono docce (strano). Sinceramente in 7 anni di esperienze di navigazione non ho mai fatto, né una doccia calda, né una doccia all’interno, mi bastava il doccino a prua, ma qui le cose sono differenti. Il mio giaciglio è il divano nel salone o dinette, la barca ha solo la cabina del capitano a prua perché la piccola cabina di poppa è stata destinata ad uso garage. Mi adatto e dopo essermi avvolta in diverse copertine di pile crollo in un sonno profondo già alle otto di sera. Proseguono giorni di varie riparazioni, ricerca materiali, attesa pezzi motore, riavvio telefono e relativi social network con annesso stress per la non riuscita connessione. Siamo all’ancora di fronte alla Marina di La Paz, l’acqua è scura e fredda, non ispira nessun tuffo, la cittadina ha un lungomare piuttosto moderno ed anonimo, costeggiato da palme ad ago, diverse bancarelle natalizie arricchiscono la passeggiata lungo il Malecòn, nulla mi sembra degno di interesse, se non i venditori di Tacos ai gamberi e il cheviche. La mattina mi sveglio con un senso d’ansia, un vuoto allo stomaco, non mi sento a mio agio. Io lo so il perché ma non è carino dirlo al Capitano, ognuno ha i suoi standard di igiene e di ordine, io non sono di certo la Principessa sul Pisello, però proprio non riesco ad adattarmi. Finalmente dopo 5 giorni ho l’opportunità di farmi una doccia calda a casa di amici del capitano, che bella sensazione. Non fraintendetemi, nel frattempo mi ero lavata a pezzi, un po’ come i gatti.









Dopo aver riflettuto attentamente ho preso la decisione di parlare al Capitano e lasciare la barca. In fin dei conti devo fare ciò che mi fa star bene, nessuno mi sta obbligando a stare a bordo, non ho firmato nessun contratto o fatto nessuna promessa, ma anche se fosse, non bisogna mai andare contro il proprio istinto. Dopo avergli parlato, anche sé è rimasto deluso, mi propone di andare insieme verso il parco naturale dell’Isola di Espiritu Santu, come era inizialmente in programma. Ma stare in mare in un posto deserto per 15/20 giorni, da soli su uno spazio ristretto come può essere un’imbarcazione a vela di 42 piedi (15 mt) mi spaventa, so benissimo che una giornata di 24 ore in mare sembra che duri il triplo, lui è un uomo gentile e premuroso a modo suo, ma ormai si è creato imbarazzo tra noi, come potrei essere serena e socievole? Attuo subito un piano B, per cercare consigli e suggerimenti scrivo un post su una pagina di Facebook di viaggiatrici solitarie che si chiama “Viaggio da sola perché…” , una delle lettrici commenta suggerendo di contattare un ostello nella località La Ventana, noto che è una destinazione per Kitesurfers e già mi brillano gli occhi, avevo iniziato a fare kite col mio ex alle Grenadine, e continuato in Marocco ed in Sardegna. Scrivo subito un messaggio chiedendo se hanno bisogno di volontari che lavorino qualche ora in cambio di alloggio, il proprietario mi risponde che hanno estrema urgenza ed io gli dico che sarei potuta arrivare il giorno dopo, ovvero oggi. Tutta gasata faccio lo zaino, il capitano mi accompagna in marina la mattina presto, ci salutiamo velocemente senza commentare la separazione delle nostre strade ma augurandoci reciprocamente buona fortuna, chiamo un Uber e nel giro di poche ore eccomi qui a scrivere un articolo, dopo aver già organizzato un’ulteriore fuga. Ovvero il Piano C. Vi chiederete perché? Perché porca puzzola non c’è acqua, nemmeno qui riesco a lavarmi, scende solo un rivolo che basta a malapena per lavarsi i denti. Per fortuna non fa caldo e non sto sudando… però che cavolo. Che poi il posto è stupendo, un ostello dallo stile mexican minimal in muratura/cemento/resina, composto da diversi cottage privati, solo un dormitorio con 8 posti letto misti, tutte le altre camere sono matrimoniali o doppie con bagno privato. C’è una bellissima terrazza vista mare, un’area comune con diversi divanetti di fronte ad una cucina fruibile dai clienti con tre grandi frigoriferi e una zona bar, quella in cui io domani avrei dovuto iniziare a preparare smoothies (frullati di frutta) la mattina dalla 8 alle 12.00 Non riesco a capire perché ci sia una così grande differenza tra zona clienti e zona dipendenti, che poi non siamo nemmeno pagati quindi dovremmo avere qualche benefit in più. L’altro ragazzo è israeliano e a quanto pare è qui da diverso tempo, si occupa delle prenotazioni e dei check in, lui dorme in una tenda, quelle stile ‘Tè nel deserto’, io invece dormo in una roulotte posta sul retro della struttura che in un primo momento mi è sembrata abbastanza decorosa, poi osservandola meglio, anzi standoci dentro, ho notato che è vicino ad un generatore molto rumoroso e ad un grande serbatoio d’acqua, acqua che a quanto pare arriva solo ai bagni degli ospiti paganti. La roulottina è molto anni ‘70, divanetti azzurrini, delle specie di decorazioni rosa e un’esilarante moquette zebrata. Il materasso del letto è piuttosto sfondato, alcuni vetri sono rotti e la porta d’ingresso non si chiude, tira un vento freddo che manco sulle Alpi, fortunatamente ci sono due piumoni, spero di riuscire a dormire tranquilla, proverò a legare la maniglia con qualcosa che tiri verso l’interno. Ho già detto al proprietario dell’ostello (che non vive qui), che domani vado via perché ho ricevuto un’offerta di lavoro, lo so che non si dicono le bugie, ma a me che cosa è venuto in mente di venire a lavorare gratis, dopo aver passato una settimana in una situazione scomoda?! Dovrei coccolarmi un po’ di più e non fare sempre la donna avventura. Comunque ritorno a La Paz, l’hotel (si spera con acqua calda) è già prenotato. Ora vado a dormire. Alla prossima puntata.











Post Scriptum: durante la notte ho sentito toccare la porta cigolante della roulotte, mi è preso un colpo ma dopo un attimo ho visto entrare un gattone, che si è sistemato sul divano, ho dormito in compagnia. Ora faccio colazione col Pandorino che mi sono portata dall’Italia e un bel Chai Latte.