Il 31 dicembre sono arrivata a Playa Coyote, unico punto vicino al mare in cui il bus ha potuto scaricarmi fuori dalle fermate regolari. Il mio amico Randy mi aspetta ancorato al largo e quando mi vede gesticolare sulla battigia viene a prendermi, la notte prima ha attraversato il mare di Cortez da San Carlos, nella regione di Sonora, 18 ore di traversata in solitaria non sono poche. Le ore 21.00 sono la mezzanotte del marinaio, quindi manco a dirlo andiamo già a nanna e rimandiamo il brindisi al giorno dopo, a quanto pare nessuno scoppia petardi perché non siamo stati svegliati da rumori molesti. La mattina ci svegliano verso le 7.00 e con calma facciamo colazione mentre i primi raggi del sole ci riscaldano. In attesa del vento rimaniamo un paio di giorni a Playa Santispac, passando il tempo tra escursioni con il Sup e passeggiate sulle colline che fanno da contorno alla spiaggia. Il 3 gennaio prendiamo il largo risalendo verso nord per uscire dalla Baia Conception per poi virare a sud in direzione Loreto e La Paz. Il vento giusto alla fine non è mai arrivato e pian piano iniziamo la veleggiata aiutandoci col motore, percorriamo circa 40 miglia nautiche al giorno, navigando per 5 o 6 ore a volte 7, arrivando poco prima del tramonto che, come vedete dalle foto, in alcuni posti è stato davvero spettacolare.
Il posto più bello è sicuramente l’isola di Espiritu Santu, che ha la forma di un pettine e sul lato ovest ha una decina di cale lunghe e strette con acqua color turchese, segue a ruota Playa Balandra, ultimamente inibita al traffico marittimo per preservarne la bellezza, per questo motivo abbiamo buttato l’ancora all’inizio della baia per proseguire con il kayak. La Bassa California sembra una piccola strisciolina di costa, prolungamento messicano della California, ma è più lunga dell’Italia ed il mare di Cortez è largo quando l’Adriatico. Chissà perché ero convinta fosse, chessó, come girare la Puglia. Vedi a non guardare le proporzioni sulle mappe! È una terra brulla e prevalentemente disabitata, alcune montagne ricordano il Grand Canyon, per lunghi tratti di costa non si scorge nessun villaggio o stradina, difatti siamo stati diversi giorni senza segnale telefonico.
I turisti, sia terrestri che marittimi, sono principalmente americani e canadesi, una quantità inimmaginabile di case mobili e mega camper stazionano sulle spiagge e a quanto pare molti canadesi svernano qui, come d’altronde fa anche il mio amico in barca. In una delle foto c’è il mio itinerario fatto con le due barche, in bus ed in taxi.
Quindi oggi, dopo altri 10 giorni in mare, termina la mia navigazione nella Baja California del Sud. Adesso sono in aeroporto, starò ancora in giro per il Messico o starò tornando a casa? 🙄
Eravamo rimasti che stavo rientrando a La Paz e speravo di farmi una bella doccia calda ma, niente da fare, quella sera in hotel NON c’era acqua, è una maledizione. Ne ho fatta una tiepidina e mi sono letteralmente congelata perché la finestra del bagno aveva la retina invece del vetro. Vabbè, son ricordi ormai.
La mattina seguente sono andata alla Marina Cortez per imbarcarmi su un Hunter di 45 piedi battente bandiera americana, il Capitano (stavolta non è hippy, anzi sembra molto precisino) l’ho conosciuto sempre su un sito di ricerca personale marittimo (Crewbay), ma stavolta l’ho incontrato un paio di volte al bar prima di accettare l’invito. Lui ed il nipote (quarantenne) sono in navigazione da un mesetto, hanno portato la barca da San Diego e prevedono di navigare su queste coste scendendo verso Mazatlan o Puerto Vallarta fino a marzo. Mi hanno invitata a passare alcuni giorni con loro, la rotta prevede la riserva marina protetta dove ci sono le isole di San Francisco, San Josè ed Espiritu Santo. Si spera di incontrare anche le balene grigie, tipiche di queste acque.
Oh, stavo per dimenticare la cosa più importante, il componente dell’equipaggio che mi ha convinta a salire a bordo: Coco! Una barboncina bianca di 10 anni, una provetta marinaia dotata di scarpette antiscivolo che riconosce il comando “Pronti a virare?” e si sposta dal lato giusto. E’ favolosa, tutta da coccolare, sembra una pecorella e non ho fatto altro che farle foto e carezze.
Nel pomeriggio andiamo a comprare le provviste, tra cui gli ingredienti per fare le lasagne, il tutto è nato dal seguente quid pro quo. Allora, io penso di parlare abbastanza bene l’inglese, ma ad un certo punto al supermercato il capitano mi chiede “Cosa vuoi comprare?” ed io rispondo tentando di fare una lista tipo “Onions…(cipolle)” non faccio in tempo a proseguire che lui dice con tono pieno di gioia “Oh my god, are you going to make Lasagne?! Awesome!” Ma come si fa a confondere la parola onions con lasagne? Ormai il danno è fatto ed ho risposto “Certo! Per Natale”. E così inizia la ricerca degli ingredienti, lasagne italiane trovate, salsa idem, mozzarella… ehm una specie, già a striscioline per la pizza, la besciamella non c’è quindi cerco su internet cosa occorre per farla e compro tutto l’occorrente. Ho dimenticato la noce moscata, userò poi un mix per carni alla brace per insaporire la besciamella, non si è accorto nessuno della differenza.
Prima serata a bordo e già mi cimento in una pasta difficilissima: sugo tonno e olive. Tutti a nanna presto perché l’idea è di salpare alle 4,30. Ci alziamo ed dopo un caffè siamo pronti a lasciare gli ormeggi, la marea sta salendo, la corrente è molto forte, ovviamente è ancora buio, appena la barca si trova nel mezzo della marina viene spinta da un lato, tutto succede molto in fretta, a quanto ho capito io, durante una manovra in retromarcia il timone prende uno strattone e si incastra nella chiglia, facendo forza si rompe una leva, la barca è fuori controllo, sballottiamo di qua e di là, tentando di rientrare in banchina scarrocciamo a dritta e andiamo a sbattere contro uno yacht da 5 milioni di dollari, io cerco di attutire il colpo opponendo resistenza con le mie braccia, ma la mia forza è pari a zero, l’imbarcazione a motore è molo più alta di noi, fortunatamente la canoa appesa fuori fa da parabordo e limita i danni, accorrono alcuni ormeggiatori e ci bloccano all’inglese dal lato sinistro. Silenzio. I momenti concitati sono passati, respiriamo e cerchiamo di riprendere fiato. Io sono in imbarazzo, non li conosco e non so che dire, mi sento di troppo, immagino che non sia facile gestire questa situazione, il Capitano ha mantenuto la calma, nessuno ha urlato, se non per chiamare aiuto. A bordo c’ero solo io, il nipote era rimasto in banchina dopo aver mollato gli ormeggi perché siamo stati trascinati al largo e non ha fatto in tempo a risaltare su. Si fa giorno e controllando lo yacht notiamo che c’è solo un piccolo graffietto fatto dal bordo del barbecue, il resto sono segni che vengono via con una passata di straccio. Il problema ora è capire se si riesce a riparare il pezzo prima della chiusura natalizia. Alle 9.00 avevano già smontato la parte del timone guasta e portata da un fabbro, alle 11.00 è arrivato un sommozzatore per andare a disincagliare il timone incastrato, nel pomeriggio hanno rimontato tutto e siamo andati a mangiare degli ottimi fish tacos e a berci una meritata birra. La mattina seguente siamo salpati quando la marea era già alta e non mentre entrava in marina, con scioltezza abbiamo passato il canale di La Paz e ci siamo diretti verso la piccola Isla San Francisco nel Mar di Cortez, in realtà ai messicani non piace chiamarlo così, visto che il Signor Cortez ha sterminato il popolo Atzeco nel sedicesimo secolo, preferiscono chiamarlo Golfo della California.
Verso le 17,30 dopo circa 6 ore di navigazione con vento di bolina e onde di traverso siamo arrivati nella splendida baia dell’isola di San Francisco o Francisquito, grande meno di 4 km quadrati. Giusto in tempo per goderci uno spettacolare tramonto. Nella baia ci sono solo quattro barche a vela, ahimè il giorno dopo ci svegliamo con due enormi yacht alle spalle, ma grazie al cielo non possono avvicinarsi troppo alla riva data la profondità dei loro scafi. Prendiamo il gommone e andiamo ad ispezionare l’isola, non avevo mai visto motori elettrici per gommoni, sono una cosa fantastica, vanno un po’ piano ma sono silenziosissimi, super adatti per queste isole deserte dove non si sente volare una mosca, anzi no si sentono i generatori dei due maledetti barconi.
Devo dire che ci sono tante cose qui in Baja California che mi ricordano la Sardegna, così è stato per il lato nascosto di quest’isola, appena oltrepassato una salina ci siamo ritrovati dal lato sopravento, dove le rocce rosse e verdi a precipizio sul mare mosso mi hanno ricordato la costa iglesiente e soprattutto la strada per Masua. Il giorno di Natale siamo saliti in cima ad uno dei due promontori che dominano la baia, il vento soffiava talmente forte che mi faceva tremare le mani durante le riprese video, le pietre sdrucciolevoli e la stretta mulattiera mi han convinto a mettere da parte telefono e macchina fotografica fino alla cima, da cui abbiamo ammirato un panorama spettacolare di tutta l’intera baia color turchese. Rientrati in barca mi sono messa all’opera per preparare le Onions, ah no le mitiche Lasagne!! Mentre cuocevo il ragù mi è sorto un dubbio, ma ci sarà una teglia da forno a bordo? La risposta è stata no. Per fortuna c’era abbastanza carta stagnola per costruirne una di fortuna. Ha retto abbastanza, anche se ogni tanto si sentiva uno sfriccichio nel forno quando colava del liquido dai bordi. Son venuti ben 7 strati di pasta, belli farciti e spazzolati in una serata, ed io che speravo di avere avanzi anche per Santo Stefano.
Nei giorni a seguire ci siamo spostati in varie calette dell’Isola di San Josè, che con l’alta marea è tagliata in due da un fiume che passa tra le mangrovie, dopo aver veleggiato in compagnia di quattro delfini giocherelloni che si divertivano a passare a destra e a sinistra della prua e a gareggiare con noi, abbiamo buttato l’ancora nella parte a sud dell’isola, finalmente il vento è calato e la temperatura si è alzata, di corsa ho lanciato la felpa e ho fatto un bagno tra le tartarughe marine e con l’occasione ho pulito un po’ la chiglia. Di balene purtroppo nemmeno l’ombra. Sigh.
Nel rientrare verso La Paz abbiamo costeggiato l’isola di Espiritu Santo, non c’era in programma di fermarci, ma dato che il vento non era a favore ho convinto il comandante a fare una tappa e a proseguire la mattina dopo di buon’ora. Per fortuna mi ha ascoltata perché il posto è stupendo. In realtà ci siamo fermati tra Isla Partida e Isla Espiritu Santu, che sembrano attaccate da una piccola striscia di terra, da un lato sabbiosa e dall’altro formata da una grande barriera di grosse pietre rosse. Bellissimi i contrasti con il verde del mare, il blu del cielo, quella sera arricchito da nuvolette bianche. Nella baia l’acqua è bassissima, si fa fatica ad arrivare a terra col gommone, il fondale è pieno di ricci, alcune razze e tanti pesci palla che ho visto anche morti sulla battigia, occhio a pestarli perché sono mortalmente velenosi.
La mia esperienza sul SV (Sailing Vessel) Charlotte Ann è giunta al termine, il 29 dicembre mattina siamo rientrati alla marina di La Paz, loro restano almeno una settimana, in attesa di ricevere un pezzo del desalinizzatore, per poi proseguire verso sud, io invece sono corsa al terminal per prendere un bus che in 5 ore e mezza mi ha portata a Loreto. Sto scrivendo dalla scrivania di un fantastico monolocale molto curato, arredato in modo perfetto, cucina e bagno in microcemento, bellissimi pavimenti, con terrazzino che affaccia ad ovest ed offre un bellissimo tramonto, ma soprattutto situato nel centro storico e con una doccia bollente! Da non credere, io che faccio sempre docce quasi fredde, mai e poi mai avrei pensato di sentirne tutta sta necessità in Messico.
Loreto è un piccolo paesino nato da una missione cristiana del diciassettesimo secolo, oggi ho fatto un bel giro in centro, beh, non è che ci si metta molto perché è praticamente una via che dalla Chiesa della Mission de Nuestra Senora de Loreto porta al lungomare. Andando a pranzo in un ristorantino per locals, ho incontrato una famiglia che avevo conosciuto sull’isola di San Francisco, lui canadese, lei giapponese con una bellissima bimba di nome Sakura, hanno iniziato da poco la loro vita in barca ed abbiamo condiviso racconti di viaggio, fa sempre piacere conversare con persone assetate di cultura ed di avventura ed auguro loro di completare il giro del mondo passando anche dalle coste italiane.
Ora vado a rifare lo zaino perché domani riparto. Vado ancora un po’ più a nord, al largo della baia del Coyote mi aspetta il mio amico Randy su un’altra barca.
Due anni fa a quest’ora ero in partenza per le Grenadine, appena prima del secondo lockdown, l’anno scorso invece ho passato l’inverno a casa, in Sardegna, tranquilla, tranquilla. Ora sto scrivendo dal Messico, esattamente dalla Baja California del Sur. Sono qui da meno di una settimana ed ho già modificato due volte il programma, avevo pianificato di stare via molti mesi, ho uno zaino bello carico, che per me vuol dire 15 kg, non come i bagagli di certe colleghe che pesano 26 kg per un evento di 5 giorni. Ma torniamo a me ed al viaggio, due mesi fa ho risposto all’annuncio di un Capitano americano ultra sessantenne, che cerca equipaggio per veleggiare sulla costa Pacifica del Messico per poi proseguire verso sud ed in primavera fare la traversata oceanica verso la Polinesia Francese. Caspita, la cosa mi allettava molto. Ci siamo scritti e video-chiamati diverse volte, ci siamo raccontati tutto e le personalità parevano simili e compatibili. A novembre quindi ho prenotato i voli, me ne son serviti ben 5 ed un totale di 36 ore complessive di viaggio per spostarmi da Cagliari a La Paz, passando per Roma, Madrid, Guadalajara e Città del Messico. In aereo non sono riuscita a riposare molto e, come al solito, ho avuto freddo, seppur ben coperta. Sono arrivata quindi piuttosto stanca e scombussolata dal jet lag, il Capitano, che doveva venire a prendermi all’aeroporto non si vede. Mi connetto al wifi per controllare se ci sono messaggi e mi rendo conto che non ha nemmeno ricevuto quelli che gli avevo mandato la mattina al mio arrivo in Messico, provo a chiamarlo sia su Messenger che su WhatsApp, niente. Dopo circa mezzora d’attesa mi comincio a domandare se non ci sia sotto qualcosa di strano, un simpatico scherzetto, che faccio? Ho in mente due ipotesi: gli è venuto un infarto oppure gli è caduto il telefono in acqua. La seconda era quella esatta, dopo un po’ arriva tutto trafelato, scusandosi e raccontandomi l’accaduto: mentre smontava un pezzo del motore, ha dato una gomitata al telefono poggiato sulla scaletta, che dopo qualche salto è finito nella sentina (la parte più bassa del fondo della barca, dove si raccolgono vari liquidi), risultato: il telefono annega ed è praticamente impossibile recuperarlo in poco tempo. Dopo aver acquistato un nuovo telefono cerca invano di connettersi ai vari social, ma per via delle mille mila verifiche e codici di controllo che arrivavano sulla sim card che giace sommersa, è stato impossibile avvisarmi. Nulla di male, riprendiamo da qui. Salgo sull’auto del suo amico e giriamo per un paio d’ore per tutta la cittadina in cerca di alcuni attrezzi, il meteo non è dei migliori, il vento freddo che soffia dal nord ha abbassato notevolmente le temperature ed io che mi aspettavo un clima caraibico rimango un po’ delusa. Il freddo dei voli mi è entrato nelle ossa, sono veramente stanca, desidero tanto una bella doccia calda, ma ahimè arrivata in barca son stata informata che con il motore smontato non è possibile avere acqua calda e alla Marina non ci sono docce (strano). Sinceramente in 7 anni di esperienze di navigazione non ho mai fatto, né una doccia calda, né una doccia all’interno, mi bastava il doccino a prua, ma qui le cose sono differenti. Il mio giaciglio è il divano nel salone o dinette, la barca ha solo la cabina del capitano a prua perché la piccola cabina di poppa è stata destinata ad uso garage. Mi adatto e dopo essermi avvolta in diverse copertine di pile crollo in un sonno profondo già alle otto di sera. Proseguono giorni di varie riparazioni, ricerca materiali, attesa pezzi motore, riavvio telefono e relativi social network con annesso stress per la non riuscita connessione. Siamo all’ancora di fronte alla Marina di La Paz, l’acqua è scura e fredda, non ispira nessun tuffo, la cittadina ha un lungomare piuttosto moderno ed anonimo, costeggiato da palme ad ago, diverse bancarelle natalizie arricchiscono la passeggiata lungo il Malecòn, nulla mi sembra degno di interesse, se non i venditori di Tacos ai gamberi e il cheviche. La mattina mi sveglio con un senso d’ansia, un vuoto allo stomaco, non mi sento a mio agio. Io lo so il perché ma non è carino dirlo al Capitano, ognuno ha i suoi standard di igiene e di ordine, io non sono di certo la Principessa sul Pisello, però proprio non riesco ad adattarmi. Finalmente dopo 5 giorni ho l’opportunità di farmi una doccia calda a casa di amici del capitano, che bella sensazione. Non fraintendetemi, nel frattempo mi ero lavata a pezzi, un po’ come i gatti.
Dopo aver riflettuto attentamente ho preso la decisione di parlare al Capitano e lasciare la barca. In fin dei conti devo fare ciò che mi fa star bene, nessuno mi sta obbligando a stare a bordo, non ho firmato nessun contratto o fatto nessuna promessa, ma anche se fosse, non bisogna mai andare contro il proprio istinto. Dopo avergli parlato, anche sé è rimasto deluso, mi propone di andare insieme verso il parco naturale dell’Isola di Espiritu Santu, come era inizialmente in programma. Ma stare in mare in un posto deserto per 15/20 giorni, da soli su uno spazio ristretto come può essere un’imbarcazione a vela di 42 piedi (15 mt) mi spaventa, so benissimo che una giornata di 24 ore in mare sembra che duri il triplo, lui è un uomo gentile e premuroso a modo suo, ma ormai si è creato imbarazzo tra noi, come potrei essere serena e socievole? Attuo subito un piano B, per cercare consigli e suggerimenti scrivo un post su una pagina di Facebook di viaggiatrici solitarie che si chiama “Viaggio da sola perché…” , una delle lettrici commenta suggerendo di contattare un ostello nella località La Ventana, noto che è una destinazione per Kitesurfers e già mi brillano gli occhi, avevo iniziato a fare kite col mio ex alle Grenadine, e continuato in Marocco ed in Sardegna. Scrivo subito un messaggio chiedendo se hanno bisogno di volontari che lavorino qualche ora in cambio di alloggio, il proprietario mi risponde che hanno estrema urgenza ed io gli dico che sarei potuta arrivare il giorno dopo, ovvero oggi. Tutta gasata faccio lo zaino, il capitano mi accompagna in marina la mattina presto, ci salutiamo velocemente senza commentare la separazione delle nostre strade ma augurandoci reciprocamente buona fortuna, chiamo un Uber e nel giro di poche ore eccomi qui a scrivere un articolo, dopo aver già organizzato un’ulteriore fuga. Ovvero il Piano C. Vi chiederete perché? Perché porca puzzola non c’è acqua, nemmeno qui riesco a lavarmi, scende solo un rivolo che basta a malapena per lavarsi i denti. Per fortuna non fa caldo e non sto sudando… però che cavolo. Che poi il posto è stupendo, un ostello dallo stile mexican minimal in muratura/cemento/resina, composto da diversi cottage privati, solo un dormitorio con 8 posti letto misti, tutte le altre camere sono matrimoniali o doppie con bagno privato. C’è una bellissima terrazza vista mare, un’area comune con diversi divanetti di fronte ad una cucina fruibile dai clienti con tre grandi frigoriferi e una zona bar, quella in cui io domani avrei dovuto iniziare a preparare smoothies (frullati di frutta) la mattina dalla 8 alle 12.00 Non riesco a capire perché ci sia una così grande differenza tra zona clienti e zona dipendenti, che poi non siamo nemmeno pagati quindi dovremmo avere qualche benefit in più. L’altro ragazzo è israeliano e a quanto pare è qui da diverso tempo, si occupa delle prenotazioni e dei check in, lui dorme in una tenda, quelle stile ‘Tè nel deserto’, io invece dormo in una roulotte posta sul retro della struttura che in un primo momento mi è sembrata abbastanza decorosa, poi osservandola meglio, anzi standoci dentro, ho notato che è vicino ad un generatore molto rumoroso e ad un grande serbatoio d’acqua, acqua che a quanto pare arriva solo ai bagni degli ospiti paganti. La roulottina è molto anni ‘70, divanetti azzurrini, delle specie di decorazioni rosa e un’esilarante moquette zebrata. Il materasso del letto è piuttosto sfondato, alcuni vetri sono rotti e la porta d’ingresso non si chiude, tira un vento freddo che manco sulle Alpi, fortunatamente ci sono due piumoni, spero di riuscire a dormire tranquilla, proverò a legare la maniglia con qualcosa che tiri verso l’interno. Ho già detto al proprietario dell’ostello (che non vive qui), che domani vado via perché ho ricevuto un’offerta di lavoro, lo so che non si dicono le bugie, ma a me che cosa è venuto in mente di venire a lavorare gratis, dopo aver passato una settimana in una situazione scomoda?! Dovrei coccolarmi un po’ di più e non fare sempre la donna avventura. Comunque ritorno a La Paz, l’hotel (si spera con acqua calda) è già prenotato. Ora vado a dormire. Alla prossima puntata.
Post Scriptum: durante la notte ho sentito toccare la porta cigolante della roulotte, mi è preso un colpo ma dopo un attimo ho visto entrare un gattone, che si è sistemato sul divano, ho dormito in compagnia. Ora faccio colazione col Pandorino che mi sono portata dall’Italia e un bel Chai Latte.