Il lungo viaggio verso Dakhla

In questo periodo di clausura forzata, avendo la fortuna di abitare in una villetta situata in campagna a circa 5 km dal mare del golfo di Cagliari, circondata da 1000 mq di terreno piantumato, mi sono presa una pausa dai social network e mi sono tenuta occupata con lavoretti di bricolage e giardinaggio.  E, diciamo, che il primo mese è passato piuttosto velocemente. Ora però, comincio a sentire la mancanza del lavoro, una Tour Leader non è abituata a star ferma, ma come potrete immaginare, tutti i viaggi e gli eventi di Marzo, Aprile e  Maggio sono stati cancellati, sono speranzosa per la stagione estiva, ma chissà.

Nel frattempo ho pensato di ritornare col pensiero al Marocco, l’ultimo viaggio di piacere che ho fatto lo scorso febbraio.

Dopo aver trascorso un paio di settimane in solitaria nella zona costiera della provincia di Agadir, sono stata raggiunta dalla mia amica Fedra.

Abbiamo deciso di andare a fare un corso di kite surf nella laguna di Dakhla, nel West Sahara, una regione situata all’estremo sud del Marocco, al confine con la Mauritania. Ovviamente la maggior parte della gente, diciamo pure i kiters, la raggiungono in aereo, ma noi no! Vogliamo vedere per bene tutta la costa, ma proprio tutti i 1200 km che separano le due località.

Fedra atterra ad Agadir alle 19:30, io l’attendo direttamente alla Gare Routiere da dove, alle 22.10  parte il nostro autobus. Non amando la lingua francese (alle scuole superiori  preferivo di gran lunga il tedesco) , non mi preoccupo di capire che Gare “Routiere” non è il nome proprio della stazione, ma bensì il nome generico che significa solamente Stazione degli Autobus, esattamente per questo motivo Fedra viene portata dal tassista da un’altra parte, ma questo io non lo so ancora, perché i telefoni con Sim italiane non funzionano e non abbiamo altro modo di comunicare. Calcolando circa mezz’ora tra sbarco/ritiro bagaglio /controllo passaporti, più un’altra mezzora di trasferimento, mi aspetto di vederla arrivare intorno alle 20.45/21:00, stando larghi. Ma niente, alle 21.45 ancora non si vede. Comincio a preoccuparmi e non so che fare, esco, rientro, salgo, scendo, insomma ispeziono ogni angolo del terminal ma di Fedra nemmeno l’ombra.  Fortunatamente sono scortata da due prodi surfisti siciliani, perché come in tutte le stazioni del mondo, la sera non gira bella gente, mi hanno dato un passaggio in auto e si sono fermati ad aspettare la nostra partenza. Sono indecisa sul da farsi: Parto comunque o resto ad aspettarla all’infinito? Avrà perso il volo? Ma come si faceva quando non c’erano i cellulari? Eppure dovrei saperlo dato che ho iniziato a viaggiare da sola nel 1984. Boh. Il bus è al parcheggio, la gente comincia a caricare i bagagli e a prendere posto. Oh, finalmente alle 21.55 appare miracolosamente la mia amica. Tiriamo un sospiro di sollievo e ci accomodiamo.  Ecco appunto, analizziamo la parola “accomodarsi” ovvero mettersi comodi. C’è qualcosa che non mi convince, i sedili sono normalissimi , minimamente reclinabili e noi dobbiamo trascorrere ben 22 ore su questo autobus, sul sito su cui ho prenotato lo pubblicizzavano come “Comfort Luxury Bus”, sedili enormi e completamente reclinabili con poggiapiedi, dotato di connessione Wi-Fi e toilette, ma dov’è tutto questo? Siamo sicuri che sia il bus per Dakhla? Ora chiedo.  Eh sì, pare semplice. Ci guardiamo intorno, sono tutti marocchini, anzi precisamente berberi, non capiscono nemmeno il mio francese scolastico, zero inglese. Su 54 posti, solo 4 sono occupati da donne, le altre sono due anziane con i rispettivi mariti e noi diamo piuttosto nell’occhio e provochiamo curiosità. Dopo solo dieci minuti dalla partenza l’autobus effettua una fermata in una specie di deposito, ah ecco sicuramente dobbiamo cambiare mezzo, dal finestrino vedo un bus con la scritta “Luxury Voyage”, lo indico ad un signore seduto dietro di noi, col quale siamo riuscite a comunicare in portoghese, ma si mette a ridere e ci fa capire che quelli sono usati esclusivamente per le tratte internazionali, sono gli autobus che vanno in Europa. Sigh. Tristezza. Ma quindi cosa si è fermato a fare? Sale un inserviente con secchio e mocio ed inizia a lavare il corridoio, ma non poteva farlo prima di partire, quando era vuoto?! Al nostro sguardo perplesso i vicini di posto mimano persone che vomitano, capiamo che nella tratta da Casablanca ad Agadir ci sono molte curve ed ecco spiegato anche quell’odore agro. Che bel viaggio che si prospetta e non abbiamo nemmeno le salviettine umidificate!

Proviamo a dormire, ma ogni due ore il bus (chiamiamolo pure corriera o torpedone) effettua una sosta di 20 minuti in posti sperduti nel nulla, la gente scende a qualsiasi ora della notte per mangiare e bere, noi vorremmo solo andare in bagno ma vi lascio immaginare come siano le condizioni igienico sanitarie, non sono schizzinosa, però preferirei farla dietro un cespuglio, ma ahimè siamo nel deserto!  Forse proprio per questo motivo noto un signore molto anziano (seduto davanti a noi ma dal lato opposto) che ravana sotto la sua tunica, la moglie gli passa una bottiglia di plastica… no dai, non ci voglio pensare.  Purtroppo invece è così, e guardando sotto al sedile notiamo il pavimento bagnato… basta, basta, ok mi fermo qui.

In un batter d’occhio si fa giorno, così ho modo di guardare dal finestrino. Il deserto, ancora deserto, altro deserto. Bello, affascinante e non sempre uguale, di sassi, di sabbia chiara, di sabbia ocra, a volte ci sono anche le dune.  Lungo le interminabili strade semi-deserte sorgono delle piccole casette dai colori pastello che sembrano quelle delle bambole ma invece sono dei posti di blocco, le guardie della Gendarmerie Royale salgono almeno sei volte a controllare i passaporti, soprattutto i nostri, abbiamo creato un diversivo nella monotonia della giornata.

Durante una delle ultime soste, facciamo quattro passi intorno al bar della stazione di servizio, e notiamo  dei cammelli che stanno attraversando la strada, li seguiamo per fotografarli da vicino ed è così che noto una cosa sconcertante: il deserto è pieno zeppo di rifiuti, soprattutto plastica, alcuni imballaggi rotolano col vento, altri sono parzialmente incastonati nel terreno. Che disastro, il mondo è una grande discarica di spazzatura.

Finalmente verso le 19.00 e con un’ora di ritardo, giungiamo al terminal dei bus a Dakhla City, dove ci aspetta l’autista del nostro Kite center il Dakhla Attitude che sorge sulla laguna, che non è mica una pozzanghera, anzi è lunga ben 45 km! Arriviamo giusto in tempo per goderci uno spettacolare tramonto, non ci muoveremo per una settimana che sarà scandita da ritmi regolari ma rilassati, tra le 10:00 e le 23:00, colazione, kite lesson, pranzo, kite lesson, aperitivo, cena, nanna. Io sono una che si stufa in fretta a star ferma, ma sinceramente in questo luogo non si sente la necessità di uscire dal camp, primo, perché se la motivazione del viaggio è fare sport, non si ha tempo di fare altro, secondo, perché è talmente vasto e bello che non ce ne sarebbe motivo, quando c’è bassa marea poi si può passeggiare sulla laguna fino a raggiungere Dragon Island, una grande roccia che sorge nel mezzo.

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Dakhla sunset

Il posto è fantastico, svariate casette color Blu Tuareg di diverse metrature, si inerpicano su una dolce collina di fronte alla laguna, ai piedi degli alloggi si trova il ristorante, il pub serale, il beach bar, la palestra ed ovviamente il centro sportivo dove si programmano le lezioni  o dove si può noleggiare l’attrezzatura Kite e Windsurf. Insomma il luogo è incantevole, il cibo ottimo, il clima perfetto per chi adora il vento, unica nota negativa è che la maggior parte dei clienti è di nazionalità francese, non me ne vogliate, ma anche qui si sono confermati alquanto distaccati e poco socievoli, vabbè chissenefrega io sono in ottima compagnia!

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Il mezzo per ritornare al nord, esattamente a Marrakech, ci siamo riservate di deciderlo last minute. Dopo aver controllato i prezzi, ovvero 62€ per un’ora e 40 minuti di volo, contro 50€ per 26 ore di bus, indovinate cosa abbiamo scelto stavolta? 😉

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Aeroporto di Dakhla

Qui trovate un breve video della laguna di Dakhla.

 

 

 

 

Social Network Life VS Real Life

“Che bella vita” sembrano comunicare le mie foto.
Negli ultimi anni ho girato il mondo in lungo e in largo, soprattutto in barca a vela dalle isole Fiji ai Caraibi, dalla Grecia alla barriera corallina australiana.
Ho passato lo scorso autunno viaggiando per lavoro tra Amburgo, Shanghai ed il Kenya. Poi a casa nella splendida e soleggiata Sardegna.
Ma dentro di me una nuvola nera si impossessa del mio umore.
Quindi cosa si nasconde dietro ad un’immagine sorridente nei luoghi più incantevoli del mondo? Inquietudine e tristezza.
Ma come? Mi sento dire: hai una vita invidiabile, sei una persona in gamba, una donna indipendente, in salute, in forma (o quasi)… E io mi chiedo: cosa cavolo mi manca? Perché mi sento incompleta? Perché vorrei sempre essere chi non sono?
Mi ritrovo in Marocco a guardare il soffitto della camera e a piangere, anziché godere di questa vacanza, assurdo!

Sto lottando per farmi forza e per focalizzarmi su ciò che ho e non su ciò che mi manca. Ma non è sempre facile.
Ultimamente alcune piccole sconfitte, mi hanno demoralizzata. La fine di una relazione in cui avevo veramente creduto ha riacceso la mancanza di affetto dovuta alla perdita prematura dei miei genitori, poi a causa del corona virus hanno cancellato due eventi/viaggi di lavoro che avrei avuto a marzo, aggiungiamoci qualche elettrodomestico rotto e conseguente spesa imprevista e il morale va sotto ai piedi.
A fine gennaio sono partita per il Marocco dove avrei dovuto fare volontariato in un canile, luogo in cui immaginavo di colmare il vuoto nel cuore, dando e ricevendo amore dai pelosetti, ma come ho già raccontato è stato un fiasco e mi sono pure ammalata, poi sono arrivata a Dahkla a fare il corso di kitesurf, ma ahimè la lezione non è andata come speravo, non ho il livello che pensavo di avere raggiunto l’estate scorsa.
E booom, sono caduta nel baratro.
Ho deluso le mie aspettative, lo so, lo so, non bisognerebbe avere aspettative. Ma come si fa?
A volte mi domando: cosa ci faccio in giro per il modo da sola a 53 anni? Perché non sono a casa sul divano con il mio Mr Smith?!
Perché non sono una di quelle donne appagata dallo shopping che si appassiona alle trasmissioni di Maria de Filippi?!
Cosa pretendo da me stessa, voglio essere la donna bionica?! Guardo le migliaia di giovani travel blogger e mi chiedo se anche le loro foto nascondano dei momenti “no”.
Dopo un po’ di seghe mentali e una mattinata sotto al piumone ho aperto YouTube e tra i video suggeriti (dato che siamo spiati) c’era un sulla depressione. (Questo il link)
Io non sono per nulla spirituale ma l’approccio ironico ed il modo di spiegare le cose di questo Sadhguru mi han fatto scattare la voglia di ritirarmi su, di godermi ciò che ho e di riprendere le lezioni di kite (a destra vado abbastanza bene, devo perfezionare la partenza a sinistra, ma devo accettare il fatto che non sarò mai una campionessa).
Mi sono sentita veramente stupida a lamentarmi e a crogiolarmi nella tristezza, sprecando del tempo prezioso. Bisogna decidere di voler essere felici, ora sono con una carissima amica che ha compreso il momento “down”. Tutti noi passiamo dei periodi neri, giuro che cercherò di lasciare andare i pensieri negativi e di focalizzarmi sul bello. Tipo una birra ghiacciata al tramonto.
Cheers!


PS : ho scritto questo pippone perché magari altre persone si sentono così, ed il detto “mal comune, mezzo gaudio” è vero!
Dakhla, West Sahara, Morocco

Chilling in Tamraght

Come mi era già capitato altre volte, l’inizio del viaggio é stato un fiasco.
In principio mi sono fatta prendere dallo sconforto per la deludente opera di volontariato che non ho potuto offrire ai miei adorati cagnolini…

Poi mi sono anche ammalata, mal di gola e raffreddore di sicuro, probabilmente anche qualche linea di febbre, ma chi lo sa, di certo non mi porto dietro il termometro.

Fortunatamente il bed and breakfast che ho trovato é molto accogliente, per meno di 10 euro a notte ho una camera matrimoniale con bagno condiviso) e una tipica colazione marocchina, servita in terrazza panoramica vista mare, per me é perfetto!

Si chiama Aga Chili e si trova a Tamraght, un paesino a nord di Agadir, recentemente divenuto metà di surfisti per via delle costanti onde oceaniche. In questi giorni tra l’altro, nel paese qui affianco, si è svolta una competizione internazionale di Surf, il Pro Taghazout Bay, a cui mi hanno accompagnato i gestori del B&B, anch’essi appassionati di surf.

A tirarmi su il morale però, ci hanno pensato un paio di surfisti italiani, quei famosi amici di amici di Facebook (vedete che a volte serve a qualcosa?!), che svernano qui, i quali mi hanno gentilmente scarrozza a destra e a manca mostrandomi luoghi meravigliosi, come le dune di Tamrit, la Paradise Valley, Devil’s Rock, ho pubblicato un po’ di video e foto anche sul mio profilo Instagram, che ovviamente si chiama sempre Vagabondingirl.

Ora non mi resta che attendere l’arrivo della mia amica Fedra con cui passerò altre due settimane, prima nel profondo sud e poi di nuovo verso il nord del Marocco.


Ah vi lascio un’idea dei costi sostenuti fin’ora:
• Volo a/r BG-Agadir 36€ (escluso bagaglio)
• Pernottamento e colazione in b&b 9€ a notte
• Pasto ristorantini locali sulla strada 5/6€
• Frutta in spiaggia 2€ (ma forse ora che ci penso mi ha fregato e avrei dovuto trattare)
• Filone di pane o pagnotta araba grande 10 cents
• Al Market: scatoletta tonno 1€, coca cola 50 cents, confezione datteri 75 cents (da noi a Natale mi pare lì vendano ad almeno 3€!)
• Pizza e 2 birre 15€ in ristorante fighetto (gli alcolici sono vietati dalla legge del Corano, pochissimi locali hanno la licenza e li vendono a caro prezzo proprio per non incoraggiarne il consumo)

Volontariato in Marocco

Ai primi dell’anno ho contattato un’associazione Onlus per offrirmi come volontaria in un rifugio di cani e gatti randagi che ha sede in una zona non ben definita e alquanto deserta, poco all’interno dalla costa marocchina.
Sono partita a fine gennaio carica di energia e con le migliori intenzioni, ma ahimè, le aspettative ci fregano sempre, difatti la realtà non è quella che pensavo. Non tanto nel canile, di cui potevo immaginare la situazione critica, ma nella casa che ospita i volontari.
Ora segue una mera descrizione di ciò che ho visto e vissuto, che non vuol essere un giudizio, ma letteralmente la mia esperienza. Ci tengo a precisare che la gestione non è marocchina ma di alcune giovani ragazze europee/anglosassoni.

Atterro al tramonto e dopo circa un’ora di viaggio su un taxi sgangherato, che sfreccia tra il traffico, incurante delle precendenze e con l’autista intento a messaggiare sul telefonino, giungo miracolosamente salva alla residenza.
È già buio, non è molto illuminato, ma intravedo una palazzina di circa tre piani in tipico stile marocchino. Vengo accolta alla porta da un’altra volontaria, che mi fa entrare di corsa per non far scappare i cani in strada. Mi informano che in casa vivono cinque cani adottati dalle ragazze che gestiscono il rifugio, tre cuccioli che dovrebbero essere adottati a breve e circa sette gatti.
Al piano terra c’è un bagno, una camera da letto dei volontari (senza porta), una cucina a vista ed un soggiorno, anch’esso aperto, con un materasso rotto (presumo sia la cuccia dei cani), un tavolo e due panche per mangiare. L’odore in casa è agre.
Appoggio lo zaino per terra accanto al letto a castello che mi viene indicato, nella stanza ce ne sono quattro, ma non sono occupati da otto volontari, bensì solo cinque. Fortunatamente il mio posto é in alto, sui letti bassi ci sono alcuni cani, per questo mi suggeriscono di non lasciare mai nulla per terra perché ci fanno pipì ed i cuccioli mordicchiano tutto, soprattutto le scarpe.Mi guardo in giro, ci sono solo tre mobiletti già occupati, e carichi di cose varie, freesbee, sassi, avanzi di cibo, scarpe infangate, bottiglie e bicchieri… anche gli appendini a muro sono pieni, non so proprio dove appoggiare le mie cose e per ora le metto sul mio letto. Osservo sbalordita i materassi sprovvisti di lenzuola, appaiono macchiati di sangue, sporchi e bucati.Un pastore tedesco col naso che sanguina staziona con una ciotola di cibo su uno di essi, due o tre gatti raggiungono i posti in alto e dormono beatamente tra le lenzuola ed i vestiti di altri volontari.Prima di partire avevo domandato se fosse necessario portare il proprio lenzuolo (ne ho uno da viaggio fatto a sacco), ma mi han detto che c’era tutto ed io mi sono fidata. Il mio letto ha solo un piccolo lenzuolo (non ad angoli) appoggiato sul materasso, che non oso controllare, sopra c’è una coperta decisamente molto usata.
Mi chiamano per la cena proponendomi di fare una pasta, ma nel frigorifero non funzionante ci sono solo dei cetrioli e delle verdure fiappe a foglia larga a me sconosciute, una ragazza le cucina, insieme ad un bel po’ d’aglio e cipolle, e poi condisce la pasta aggiungendo anche delle uova strapazzate, ricetta alternativa.
Nel mobile in cucina c’è un gatto che dorme tra le confezioni di riso e spezie, dal cassetto delle posate ne spunta un altro, alcuni dopo cena passeggiano tra i fornelli ed il lavandino, leccando qua e là.
È ora di dormire, mi armo di coraggio e metto un pareo tra me e la coperta, una felpa sul cuscino; lo zaino, la borsa, il beauty etc in fondo ai piedi… non sono schizzinosa, però c’è un limite a tutto. Respiro profondo e via.
Durante la notte i cani abbaiano, litigano, giocano… Ed ovviamente cagano e pisciano in giro, la puzza giunge forte alle narici. La mattina il pavimento di tutta la casa è un campo di battaglia.
Solo un’altra volontaria sembra infastidita nel fare colazione tra le feci, gli altri si spostano tranquillamente facendo lo slalom tra le pipì, alcune coperte con la segatura altre no.
Mi mostrano il resto della palazzina, al piano sopra le due manager dormono in due stanze separate, su materassi per terra insieme a cani e gatti, la terrazza e le scale sono un cacatoio.
Giunge l’ora del mio turno al canile, che si trova al di là della strada, anche questa una palazzina di tre piani con annesso cortile e giardino suddivisi in diversi settori.
Ci sono circa centocinquanta cani e una ventina di gatti, alcuni animali sono malati, altri hanno subito amputazioni agli arti quindi stanno nelle varie stanze della villetta, ci sono dei copertoni di camion tagliati che fungono da cucce, ai cani sembra piacere stare a rotolino lì dentro, al riparo dalle cacche.Tutti, ma proprio tutti, i cani sono affettuosi con i volontari, appena entro nei recinti mi assalgono in cerca di coccole e carezze che non mi esimo dal donargli.
I turni sono di quattro ore per sei giorni la settimana, la mattina o il pomeriggio.
La prima cosa da fare è raccogliere le feci, io ci sono abituata, ho tre cani grandi e devo sempre ripulire il giardino, ma ahimè qui il suolo in parte fangoso in parte duro, di terra sconnessa e le cacche sono quasi tutte liquide, è praticamente impossibile raccattarle, soprattutto con le palette dal manico rosicchiato; i secchi in cui si devono depositare sono senza maniglia ed è scomodo sposarli, li devi prendere dal bordo che ovviamente è sporco ed essendo senza guanti, vi lascio immaginare come siano le mie dita. A volte capita di scostarsi i cappelli o grattarsi il naso senza pensarci… Bleah.
Dopo aver ripulito tutti i recinti, le scale, la terrazza e le stanze chiamate “infermeria”, bisogna fare alcune medicazioni, stendere il bucato, fare altre lavatrici, e dare la pappa a tutti, separandoli a gruppi di 10/12. Il processo dura almeno un’ora e mezza, con litigi vari di alcuni cani che non vanno d’accordo tra loro, con tono sicuro bisogna imporsi per farli calmare.
L’odore è forte, specialmente nelle stanze chiuse, in cui ci sono i cani malati, che si defecano addosso, la zona dei gatti poi è particolarmente puzzolente, il disordine regna sovrano, solamente al primo piano la cucina adibita a farmacia pare abbastanza pulita, ma quella al secondo ha pile di piatti sporchi nel lavandino, avanzi di cibo nelle pentole, gatti sdraiati ovunque, scarpe masticate, coperte ed asciugamani sporchi per terra, scatoloni, martelli, seghe appoggiati qua e là… Non c’è un senso logico a nulla.Una volta raccolte le cacche non è che non le rifacciano durante il turno, specialmente quelli con la diarrea, ma l’acqua scarseggia quindi non si lava per terra.
Finalmente arriva il momento di portarne alcuni a passeggio, due guinzagli a testa e via, fuori tra le colline per un’ora e mezza.Tutto questo lo ripeto per un paio di giorni ma la mia asma allergica è aumentata, e fondamentale non mi sento a mio agio quindi ho deciso di andare via. Mi spiace profondamente non mantenere la parola data, ma non riesco a vivere serenamente questa situazione, soprattutto in casa, ed ho preferito alloggiare in un paesino limitrofo e contribuire da qui andando qualche giorno al canile per portare i cani a passeggio.
Tutto questo mi ha fatto riflettere sul fatto che non bisogna fare qualcosa che ci fa stare male, altrimenti la si fa di malavoglia e non è sicuramente lo spirito del volontariato.
Sono volontaria da anni in diversi campi ed adoro i cani, ma in quella casa li stavo odiando e non è da me…
Troverò qualche altro modo per rendermi utile.
Non fraintendetemi, non sto assolutamente discutendo l’impegno per salvare gli animali e la buona fede delle ragazze che lavorano sodo per prendersene cura, però a vivere così io non c’è la faccio…

Ora vi saluto dalla terrazza di questo pulito e colorato Bed and Breakfast.