Wailoaloa beach clean up

Sono confinata qualche giorno al Bamboo Backpacker, un ostello che sorge direttamente sulla spiaggia di Wailoaloa, non lontano dall’aeroporto di Nadi, da cui partirò per… 

Ah ah ancora non ve lo dico 😉 

Dopo aver visitato sia la cittadina di Nadi che quella di Lautoka, fatto qualche bagnetto (ma l’acqua in questa zona non è per nulla invitante), ho deciso di pulire la spiaggia. 

Sere fa, passeggiando al tramonto, ho notato che appena superate le strutture ricettive che affacciano direttamente sulla spiaggia (ce ne sono quattro, una dietro l’altra), la situazione rifiuti tracolla, montagne di lattine di alcolici, rimasugli di festicciole serali e come sempre plastica ed ancora plastica.

Armata di un piccolo sacchettino ho iniziato ad impilare ciò che trovavo, non mancano mai i sacchetti di plastica, che almeno in questo caso si rivelano utili per il trasporto dell’immondizia raccolta. 

Trascinando due grosse buste sono passata davanti all’ostello, dove sotto lo sguardo degli ospiti ho raccolto altri rifiuti… Se ne fosse alzato uno per aiutarmi o almeno portare i sacchetti pieni… Niente, nessuno ha fatto una piega. Solo un local, a cui ho chiesto dove mettere il “malloppo”, mi ha ringraziata e chiesto da dove venissi.

Son contenta di aver fatto anche oggi il mio piccolo gesto per un mondo più pulito, ci avrò impiegato al massimo un’ora… E domani tocca al lato a nord!

The Beachouse – Coral coast, Fiji

Avevamo intenzione di fermarci soltanto una notte per spezzare il viaggio verso Nadi, ma una volta sistemato lo zaino in camera e dato un’occhiata in giro, ci siamo guardate ed abbiamo detto nello stesso istante “a me piacerebbe rimanere un po’ di più” e così è stato.

Il Beachouse hostel si trova letteralmente in mezzo alla giungla, ed affaccia su una magnifica spiaggia con le classiche palme ad ago piegate verso il mare. 

Il proprietario, un surfista neozelandese, lo ha arredato con gusto, mantenendo gli elementi classici della tradizione delle isole Fiji. Diversi bungalow sparsi tra la vegetazione ospitano dalle due alle sei persone, i prezzi sono modici, non bassi, 20€ un letto nella stanza femminile da sei, pulita, spaziosa, areata e dotata di grandi armadietti da chiudere col proprio lucchetto. Il costo include una ricca colazione, una merenda pomeridiana, lezioni di yoga, docce calde, wi-fi e a disposizione canoe, piscina, biliardi, svariate amache sparse tra giardino e spiaggia. La struttura è composta da varie capanne in legno e bambù che ospitano il ristorante, il bar e la zona massaggi… Che ho “dovuto”assolutamente testare per poter dare un giudizio realistico. 😉 La robusta signora Fijiana mi ha strapazzata per un’ora con abbondante olio di cocco, la pioggia battente ha conciliato ancor di più il rilassamento. Diciamo che la tecnica era più o meno quella di un classico massaggio nostrano, ma dal costo più contenuto, 16€.

Tra snorkeling, foto, video, birre, spupazzamento cani e redigere articoli per il blog, il tempo è volato, è ora di salire sul prossimo bus! 

Dormire cullate dalle onde ci manca già, prima di andare all’ostello prefissato (da 4.96€ a notte), approfittiamo dell’invito di amici di amici, che lavorano su una lussuosa barca ormeggiata alla marina di Denarau (il nome è tutto un programma!) 

In tutto questo girovagare bisogna riuscire ad adeguarsi a strette cabine spartane, letti a castello, camerate condivise tipo colonia comunale o lussuose suite da mille e una notte… cercando di trovare il lato positivo in ognuna di esse.

In partenza per Viti Levu – Fiji

Sabato pomeriggio, siamo rientrati da un giro di commissioni, spesa lavanderia, etc… fa caldissimo. Mi sdraio in cabina a pensare a dove andare quando lascerò la barca. Bussa Daniela, una ragazza di Francoforte che ha finito il suo periodo a bordo e a breve deve partire per Bangkok, mi propone di andare con lei su un’altra isola per sfruttare al meglio i suoi ultimi giorni alle Fiji. Diamo un’occhiata ai voli per spostarci sull’isola principale, Viti Levu. Caspita c’è una super offerta! Non stiamo a pensarci troppo e prenotiamo all’istante. Il volo però parte lunedì mattina presto, dal nord dell’isola in cui siamo, chissà come faremo a raggiungere l’aeroporto, visto che la barca è ancorata nella baia all’estremo sud.

Domenica. Zaino fatto alla velocità della luce, annunciamo al gruppo la nostra imminente partenza, ci rimangono un po’ male, ma comprendono e ci augurano buona fortuna. A me piace un sacco l’adrenalina che dà la partenza improvvisa. 

Al terminal degli autobus di Savu Savu diluvia, essendo giorno di festa è semi deserto, ma la fortuna sta dalla nostra parte perché l’unico bus presente va proprio a Labasa. 

Sballottate su e giù per le montagne interne per circa due ore, arriviamo in una cittadina fantasma. 

L’affittacamere che avevamo trovato in internet non esiste, o meglio, alla porta con grata a mó di prigione non risponde nessuno, ma  dato che l’aspetto non è molto invitante non insistiamo. Incuriositi da due ragazze (grazie per la ragazza) con in spalla due enormi zaini, i passanti ci offrono aiuto e ci indicano un hotel carino ed economico, tale Riverview. La camera è modesta, ma la vista sul fiume molto carina, e la zona ci appare tranquilla. 

Ci rifocilliamo in uno dei due ristoranti aperti la domenica, la scelta è tra Chicken House e The Lunch Box. Visto che non mangio carne, la mia scelta si riduce ad un solo ristorante, ed il menù offre comunque pollo o pizza al pollo. Che fantasia! Ordino l’unica cosa vegetariana: la pizza all’ananas. Eh lo so, sono cose difficili da accettare per noi italiani, mi spiace dirlo… ma non era affatto male!

La sveglia è puntata alle 6:00, quindi a nanna presto. Chiudiamo gli occhi verso le 22:00… Ma dopo un’oretta veniamo svegliate da fragorose risate ed una musica assordante. Noooo, una festicciola proprio nella casetta affianco alla nostra camera. Che sfiga!

Quindi, dopo bus – taxi – hotel – taxi – aereo – taxi – bus,  siamo finalmente giunte sull’isola di Viti Levu.

Kayak e pulizia della spiaggia

Valeda, io ed una delle bimbe, durante un afoso pomeriggio di metà novembre, abbiamo preso le canoe e fatto un’escursione in una piccola isoletta che si trova all’interno della baia di Savu Savu. Dalla barca, pagaiando tra le mangrovie, in poco tempo siamo giunte alla prima spiaggetta, e ci ho messo ancora meno a rendermi conto di quanta immondizia si annida tra i rami e le conchiglie. Pronti, via! … in cinque minuti abbiamo ripulito quest’angolo di paradiso, che dovrebbe restare incontaminato.  Quello nella foto il bottino raccolto: bottiglie di vetro e di plastica, lattine e tante confezioni di cibo.  In mare fluttuava un sacchetto di plastica che spesso i peschi di grosse dimensioni ingeriscono, scambiandoli per meduse, oppure i pesci piccoli rimangono intrappolati.

Una volta radunato tutto lo abbiamo carica a bordo e portato in discarica. Un ragazzo locale ci ha osservate, nascosto tra le piante… spero abbia tratto insegnamento dai nostri gesti.

Oh, questo sì che mi ha dato soddisfazione! Oltre alla pagaiata rilassante, ovviamente. 

L’isola verde

Nel mio immaginario pensavo che le Fiji fossero isole con lunghe spiagge di sabbia bianca, palme e mare turchese… quei tipici posti da Luna di Miele, ma per ora non ne ho vista nemmeno una così, anzi, la costa è piena di mangrovie e l’acqua tende al verde. Non fraintendetemi però, è un paesaggio bellissimo. La vegetazione lussureggiante ricopre l’intera isola, che ha una forma allungata e frastagliata, Vanua Levu è la seconda più grande dell’arcipelago ed ha una superficie di circa 5000km/q, con al centro alcuni promontori da cui si possono ammirare le numerose baie.

Una mattina di buon ora, Olivia ed io siamo scese a terra per cercare un minivan per fare un’escursione… trovarne uno per 14 persone non è stato semplicissimo, ma alle 10.30 eravamo già tutti a bordo, carichi di mango e banane, che qui crescono lungo la strada.

Prima tappa, un villaggio vicino ad un fiume, le donne sono intente ad intrecciare cesti e ventagli, i bambini giocano con un copertone appeso ad un albero lungo il fiume, io trovo subito un paio di cagnolini da spupazzare… loro lo sentono che li amo e mi seguono tra le casette colorate e la chiesetta ben curata, i materiali sono poveri, lamiera e compensato, ma mi stupisco di quanto siano tenute in maniera dignitosa. 

Da qui, un bel tuffo refrigerante in una fantastica cascata, ahh il clima è caldo umido… e durante il percorso nella “giungla” ci siamo beccati un bell’acquazzone, poi è uscito di nuovo il sole e lo scenario è stato magnifico.

Terza tappa: la foresta pluviale di Waisali. Un facile sentiero in loop di circa un’oretta ci porta all’interno della riserva naturale. Tra Costa Rica, St Lucia, Maui e Nuova Zelanda… di foreste pluviali ne ho viste molte, ma è sempre un trekking interessante da fare tra le mille specie di piante ed il silenzio rotto soltanto dal cinguettio di originali volatili.

Il miglior modo per terminare la serata è ammirare il tramonto, e noi lo facciamo da un piccolo pontile di legno, nella zona a nord dell’isola, vicino alla cittadina di Labasa. Sarebbe stato tutto perfetto… Se solo la Savannah non avesse fatto ascoltare a tutti un’orrenda canzoncina techno! 

Ohh, io sempre a lamentarmi 😂😋

Approdati sull’isola di Vanua Levu – Fiji


Terraaaaa! La vista dell’isola ci ha reso tutti felici come bimbi, la voglia di sgranchirsi le gambe e fare una passeggiata nel piccolo paesino di Savu Savu è irrefrenabile… Maaa, non si può scendere prima di aver sbrigato tutte le pratiche burocratiche doganali. All’ingresso della baia il capitano ha annunciato il nostro arrivo via radio alla capitaneria di porto, dopo circa una mezz’ora sono saliti a bordo i primi controlli, due ufficiali sanitari del reparto quarantena per verificare non vi fossero malati tra l’equipaggio, poi sono arrivati quelli dell’immigrazione per controllare  i passaporti, come e quando lasceremo il paese… Poi è la volta dell’ispettore alimentare per controllare la cambusa… Finalmente il lasciapassare e via di corsa sulla terra ferma!! Sigh, si è fatto tardi ed è tutto chiuso. La Marina è piccolissima e comunque nessuno di noi ha voglia di cenare al ristorante per “ricchi” naviganti. Riusciamo a trovare un ristorantino simil indiano aperto. Anche se siamo gli unici clienti se la prendono con moooolta calma, ma alla fine arrivano delle ottime portate. Ah no, non siamo soli, c’è anche una coppia di… italiani. Ma chi l’avrebbe detto, in un posto così sperduto, siamo proprio ovunque! 😉 Alessia e Simone tra l’altro ci avevano già visti a Tonga, li invitiamo a bordo per visitare Infinity e ci perdiamo in chiacchiere davanti a qualche bicchiere di vino … peccato abbiano finito quello che si sono portati dalla loro terra: le Langhe!

La mattina seguente ci rifacciamo, visitando il mercato. Banchi che strabordano di mango, il prezzo dice 1 Fijian dollar (40 centesimi), porgo  alla signora due dollari e gli indico i due che vorrei acquistare, ma lei riempie una busta enorme, costano 40 cent al kilo, mica l’uno!

Nella via principale da un lato il mare e le palme, dall’altro tantissimi negozi che vendono  un po’ di tutto dai vestiti, alle medicine, molti minimarket e negozi di elettronica, un grande parcheggio ospita i bus in partenza per il resto dell’isola ed una grande tettoia dove si radunando a chiacchierare in attesa del bus. Tutto mi ricorda sia l’Indonesia che alcune isole caraibiche ma non avevo idea di come fossero gli abitanti delle Fiji, l’etnia è in parte di origine indiana coi capelli nerissimi e lisci, in parte più diciamo africana, molte donne sono robuste e portano i capelli ricci e gonfi stile Diana Ross negli anni ’70, ma con l’aggiunta di un fiore di frangipane sul lato. 💮

Gli uomini… Posso dirlo?! Sono mingherlini e piuttosto bruttini… E vabbè, l’ho detto!  🐸

PS Bula! Significa Ciao!

In navigazione dalle Tonga alle Fiji

Partenza 3 novembre 2017

Ore 11.30 circa

Distanza tra l’isola di Vava’u dell’arcipelago di Tonga all’isola Vanua Levu alle Fiji:

400 miglia nautiche, circa 800 km

Peso barca con cambusa, carburante ed equipaggio composto da 12 adulti e 2 bambine: circa 200 tonnellate

Lasciamo Vava’u con una leggera pioggerella che ci accompagnerà per i primi due giorni di viaggio. Appena fuori dalla baia isssiamo il fiocco e randa, non ero abituata a questi pesi e misure, ci siamo dovuti impegnare in cinque da tanto era pesante! (Altezza fiocco 30 mt) Inoltre sul primo catamarano in cui ho lavorato per quattro mesi tra Grecia e Turchia era tutto elettronico, mi bastava premere un tasto col piedino per tirar su la vela e cazzare il fiocco…

Dopo qualche istruzione sulla sicurezza, ci comunicano gli orari in cui dovremo alternarci al timone, ed il mio primissimo turno capita di notte, che fortuna! Sono super concentrata per non perdere la bussola 😉 non avevo mai timonato una barca così grande e col buio la tensione raddoppia, ma appena prendo la mano mi rilasso… ah, qui tutto old style, zero pilota automatico.  Durante il turno di quattro ore siamo sempre in due, si timona per le prime due e nelle successive si fa assistenza a chi attacca dopo, ovvero bisogna controllare il monitor del radar (che non è sul ponte ma in coperta) per tenere la rotta giusta in caso cambiasse il vento, ascoltare i rumori sospetti esvegliare il capitano in caso di necessità, il quale ha sottolineato di voler essere chiamato per qualsiasi dubbio, anche stupido. Dorme più tranquillo se ogni tanto viene interpellato.

Io non ho mai sofferto il mal di mare, anzi adoro i dondolii, l’altalena, l’ottovolante, i vuoti d’aria, ho fatto bungee jumping ed un lancio col paracadute… Ma non avevo mai passato così tanto tempo in balia delle onde dell’oceano, al massimo ho navigato nel mediterraneo e tra gli arcipelaghi della costa australiana. Non me l’aspettavo, ma ammetto di aver passato il secondo giorno con lo stomaco sottosopra, impossibile leggere, scrivere ed anche stare ai fornelli è un tormento, ogni tot bisogna uscire a prendere una boccata d’aria. La notte in cabina si balla talmente tanto, che risulta difficile dormire sul fianco, perché si rischia di rotolare giù dal letto. 

Il vento soffia a circa 17 nodi, con raffiche a 23, la barca essendo pesante fa di media 7 nodi, viaggiamo di lasco e traverso, le onde sono piuttosto grandi ed ogni tanto invadono il ponte, per noi novellini tenere la rotta non è facile, tendiamo tutti ad andare un po’ a zig-zag.

Vaghiamo come zombie, sia per i diversi turni diurni e notturni, che per la nausea. Il terzo giorno sto facendo un riposino pomeridiano quando sento un vociare agitato, ha iniziato a piovere molto forte e la tasca creata dalla randa abbassata al terzo terzarolo si è riempita d’acqua, allo stesso tempo una raffica di vento ha lacerato una parte del fiocco che si deve quindi tirare giù in fretta, operazione al quanto complessa tra il diluvio e le raffiche. Restiamo fermi in mezzo all’oceano per circa tre ore per ricucire lo strappo.  Per fortuna è successo durante il giorno! …Manco a dirlo che verso mezzanotte sento gente correre sul ponte, la vela centrale si è riempita di nuovo, siamo nel bel mezzo di un nubifragio, di quelli potenti del pacifico del sud, secchiate d’acqua si riversavano sulla barca, al timone la ragazza francese, nel frattempo il capitano armato di coltello squarcia di proposito la randa per fa uscire litri e litri di pioggia, che ahimè entrano dai finestrini di prua, forse non chiusi bene oppure con le guarnizioni ormai consunte, ed inondando le scale che portano alla zona notte. Il diluvio non accenna a smettere, in un paio di cabine un rigolo d’acqua corre lungo le parteti, fino a bagnare il letto, la mia è tra queste, tampono con un asciugamano e cerco di riprendere sonno, ma strani scricchiolii e sgocciolamenti mi tengono sveglia, sappiamo bene come la mente riesca a viaggiare di notte. Mi scopro ad immaginare cosa portare in caso di dover abbandonare la “nave”, lo so che non bisogna portare nulla, ma ho pensato di salvare la scheda di memoria  della macchina fotografica, e se riesco anche la carta di credito, come sono venale!!

Durante il quarto giorno, senza aver mai incrociato nessun’altra imbarcazione, avvistiamo degli uccelli, mi domando quindi se ci sia della terra nei paraggi… Dopo un paio d’ore scorgiamo un atollo sulla barriera corallina, da non credere, nel centro è cresciuto un albero di noci di cocco!  Come i marinai del Bounty vorremmo raggiungerlo per mettere i piedi sulla sabbia, ma dovremmo perdere diverse ore per arrivare nella parte accessibile (acque calme ma fondale abbastanza profondo per il nostro scafo) invece approfittiamo del vento che soffia nella direzione giusta per condurci a Savu Savu in tempi brevi. 

Quinto giorno di mare, mancano poche ore lla terra promessa, il sole splende e stiamo tutti molto meglio, c’è chi suona l’ukulele e chi legge, io sto addirittura scrivendo quest’articolo, alla fine il corpo si abitua a tutto! Però sinceramente mi sto un po’ annoiando, pensavo di amare il mare aperto, ma navigare tra gli arcipelaghi, ammirando il panorama della costa, fermarsi a fare i bagni e dormire nelle baie lo preferisco. Che scoperta, Eh?!  😉