Partenza 3 novembre 2017
Ore 11.30 circa
Distanza tra l’isola di Vava’u dell’arcipelago di Tonga all’isola Vanua Levu alle Fiji:
400 miglia nautiche, circa 800 km
Peso barca con cambusa, carburante ed equipaggio composto da 12 adulti e 2 bambine: circa 200 tonnellate

Lasciamo Vava’u con una leggera pioggerella che ci accompagnerà per i primi due giorni di viaggio. Appena fuori dalla baia isssiamo il fiocco e randa, non ero abituata a questi pesi e misure, ci siamo dovuti impegnare in cinque da tanto era pesante! (Altezza fiocco 30 mt) Inoltre sul primo catamarano in cui ho lavorato per quattro mesi tra Grecia e Turchia era tutto elettronico, mi bastava premere un tasto col piedino per tirar su la vela e cazzare il fiocco…
Dopo qualche istruzione sulla sicurezza, ci comunicano gli orari in cui dovremo alternarci al timone, ed il mio primissimo turno capita di notte, che fortuna! Sono super concentrata per non perdere la bussola 😉 non avevo mai timonato una barca così grande e col buio la tensione raddoppia, ma appena prendo la mano mi rilasso… ah, qui tutto old style, zero pilota automatico. Durante il turno di quattro ore siamo sempre in due, si timona per le prime due e nelle successive si fa assistenza a chi attacca dopo, ovvero bisogna controllare il monitor del radar (che non è sul ponte ma in coperta) per tenere la rotta giusta in caso cambiasse il vento, ascoltare i rumori sospetti esvegliare il capitano in caso di necessità, il quale ha sottolineato di voler essere chiamato per qualsiasi dubbio, anche stupido. Dorme più tranquillo se ogni tanto viene interpellato.
Io non ho mai sofferto il mal di mare, anzi adoro i dondolii, l’altalena, l’ottovolante, i vuoti d’aria, ho fatto bungee jumping ed un lancio col paracadute… Ma non avevo mai passato così tanto tempo in balia delle onde dell’oceano, al massimo ho navigato nel mediterraneo e tra gli arcipelaghi della costa australiana. Non me l’aspettavo, ma ammetto di aver passato il secondo giorno con lo stomaco sottosopra, impossibile leggere, scrivere ed anche stare ai fornelli è un tormento, ogni tot bisogna uscire a prendere una boccata d’aria. La notte in cabina si balla talmente tanto, che risulta difficile dormire sul fianco, perché si rischia di rotolare giù dal letto.
Il vento soffia a circa 17 nodi, con raffiche a 23, la barca essendo pesante fa di media 7 nodi, viaggiamo di lasco e traverso, le onde sono piuttosto grandi ed ogni tanto invadono il ponte, per noi novellini tenere la rotta non è facile, tendiamo tutti ad andare un po’ a zig-zag.
Vaghiamo come zombie, sia per i diversi turni diurni e notturni, che per la nausea. Il terzo giorno sto facendo un riposino pomeridiano quando sento un vociare agitato, ha iniziato a piovere molto forte e la tasca creata dalla randa abbassata al terzo terzarolo si è riempita d’acqua, allo stesso tempo una raffica di vento ha lacerato una parte del fiocco che si deve quindi tirare giù in fretta, operazione al quanto complessa tra il diluvio e le raffiche. Restiamo fermi in mezzo all’oceano per circa tre ore per ricucire lo strappo. Per fortuna è successo durante il giorno! …Manco a dirlo che verso mezzanotte sento gente correre sul ponte, la vela centrale si è riempita di nuovo, siamo nel bel mezzo di un nubifragio, di quelli potenti del pacifico del sud, secchiate d’acqua si riversavano sulla barca, al timone la ragazza francese, nel frattempo il capitano armato di coltello squarcia di proposito la randa per fa uscire litri e litri di pioggia, che ahimè entrano dai finestrini di prua, forse non chiusi bene oppure con le guarnizioni ormai consunte, ed inondando le scale che portano alla zona notte. Il diluvio non accenna a smettere, in un paio di cabine un rigolo d’acqua corre lungo le parteti, fino a bagnare il letto, la mia è tra queste, tampono con un asciugamano e cerco di riprendere sonno, ma strani scricchiolii e sgocciolamenti mi tengono sveglia, sappiamo bene come la mente riesca a viaggiare di notte. Mi scopro ad immaginare cosa portare in caso di dover abbandonare la “nave”, lo so che non bisogna portare nulla, ma ho pensato di salvare la scheda di memoria della macchina fotografica, e se riesco anche la carta di credito, come sono venale!!
Durante il quarto giorno, senza aver mai incrociato nessun’altra imbarcazione, avvistiamo degli uccelli, mi domando quindi se ci sia della terra nei paraggi… Dopo un paio d’ore scorgiamo un atollo sulla barriera corallina, da non credere, nel centro è cresciuto un albero di noci di cocco! Come i marinai del Bounty vorremmo raggiungerlo per mettere i piedi sulla sabbia, ma dovremmo perdere diverse ore per arrivare nella parte accessibile (acque calme ma fondale abbastanza profondo per il nostro scafo) invece approfittiamo del vento che soffia nella direzione giusta per condurci a Savu Savu in tempi brevi.
Quinto giorno di mare, mancano poche ore lla terra promessa, il sole splende e stiamo tutti molto meglio, c’è chi suona l’ukulele e chi legge, io sto addirittura scrivendo quest’articolo, alla fine il corpo si abitua a tutto! Però sinceramente mi sto un po’ annoiando, pensavo di amare il mare aperto, ma navigare tra gli arcipelaghi, ammirando il panorama della costa, fermarsi a fare i bagni e dormire nelle baie lo preferisco. Che scoperta, Eh?! 😉



