Fuori dal tempo

Luogo: Lakey Peak, Hu’u, Isola di Sumbawa, Indonesia

In Indonesia ci son stata già un paio di volte, dopo aver visitato sia Java che Bali decido di visitare un posto meno turistico: un piccolo villaggio sull’isola di Sumbawa.

Il mezzo scelto è un traghetto, la cui partenza è prevista dal porto di Benoa verso le 20,30 o almeno così mi avevano detto. Attendo a tempo indeterminato in un anonimo e freddo stanzone in marmo; la maggior parte dei passeggeri è indonesiana, sono imbacuccati in giubbotti e altri capi invernali, carichi di pacchi e pacchettini legati con lo spago. Ecco poi una decina di turisti occidentali riconoscibili dai pantaloncini corti e dalle infradito; mi aspettano 10 ore di navigazione ma ignoro le condizioni in cui dovrò affrontarle.

Sono seduta comodamente sul fast ferry, che è meglio di quanto immaginavo, i posti sono stile “aereo” con tavolinetto ribaltabile dove viene prontamente servito un pasto, diciamo commestibile; purtroppo però comincio a congelare, l’aria condizionata è tenuta a livelli glaciali per evitare il proliferare di topi e scarafaggi; sì, proprio così! Ora comprendo il perché degli indumenti invernali indossati dai locali!! Passo la notte avvolta in un asciugamano, esausta verso le 8:00 del mattino seguente giungo al porto di Bima.

I proprietari di una decina di “bemo” (furgoncini-taxi locali) si litigano i turisti appena sbarcati, chi riesce ad accaparrarsene 5 ha fatto il guadagno di un mese. Tra la folla di gente che si aggira per il porto, sono una delle pochissime donne; mi accorgo immediatamente che i miei pantaloncini corti sono del tutto fuori luogo: qui non è come nella più turistica ed induista Bali, sono quasi tutti di religione mussulmana e le donne sono coperte dalla testa ai piedi; mi sento osservata e un po’ in imbarazzo, la provvidenza però mi fa incontrare un gruppo di surfisti spagnoli ai quali mi aggrego e con i quali condividerò il resto del mio soggiorno.

A malapena ricordo il nome della destinazione finale: Lakey qualcosa… ma so che non è un paese ma bensì una sperduta località surfistica. Per raggiungerla occorrono circa 3 ore, dobbiamo attraversare l’isola da nord a sud.

Il tragitto è un’esplosione di colori caldi e profumi intensi, i raggi del sole dipingono il paesaggio come fosse un quadro, risaie verdi e rigogliose si alternano a campi aridi ed incolti, attraversiamo un mercato affollato di gente dai volti vissuti e dallo sguardo semplice, ci sorridono e posano per le foto; non posso fare a meno di notare che il mezzo di trasporto più usato è un carretto trainato da un asino.

BIMBA INDO

Una volta giunta al surf-camp scelto dai ragazzi spagnoli mi rendo conto che forse è un po’ troppo spartano, oltretutto il bungalow in paglia che mi hanno proposto è già occupato da una famiglia di robusti scarafaggi; surfisti anche loro?! Dopo 5 minuti rimetto lo zaino in spalla e via, alla ricerca di un alloggio, sempre alla portata delle mie tasche, ma un pochino più confortevole. E’ davvero molto caldo e la stanchezza ha la meglio anche sulla fame, in quel momento di sconforto realizzo che alla mia destra c’è il mare: è di un blu intenso all’orizzonte, poi sfuma con varie tonalità di verde fino a diventare cristallino a pochi metri dalla riva, l’odore dei gelsomini misto al salmastro si impadronisce delle mie narici, mi riempio i polmoni e proseguo la marcia. Sulla spiaggia incantata di finissima sabbia color avorio si affacciano i vari surf-camp, il più caro costa 20 dollari a notte con la prima colazione, ha l’aria condizionata e probabilmente anche una piscina, ma girando lo sguardo mi colpiscono delle casette gialle in muratura, molto originali e di recente costruzione, quasi non oso chiedere, ma quando lo faccio lo stupore è tale che corro subito ad avvisare gli altri. La camera è davvero carina, con bagno attrezzato, ventilatore al soffitto e zanzariera sui letti, quest’ultima indispensabile perché è una zona ad alto rischio malaria; scelgo l’ultima stanza verso il fondo del resort e curiosando qua e là scopro che come vicini ho una famiglia di caprette molto simpatiche, amano le coccole, ma soprattutto amano le mie provviste di cibo…

Dopo due ore di sonno ristoratore prendo la macchina fotografica per immortalare l’azzurro di quel mare, la violenza di quel sole, l’imponenza di quel golfo con la vegetazione fitta fitta, composta da altissime palme ad ago e chissà quali altre specie di piante tropicali, che sono parte integrante del posto. Le “vibrazioni” di quello strano silenzio, rotto soltanto dal frangersi delle onde sul reef mi invadono totalmente. Sono già le cinque del pomeriggio e le ombre iniziano ad allungarsi, poso la macchina fotografica, le immagini di quell’incantevole tramonto per oggi rimarranno solo nella mia testa.

Poco più tardi raggiungo gli spagnoli a cena nell’unico “Warung”, ovvero ristorantino, in fondo alla strada battuta che costeggia la spiaggia: cucina indonesiana niente male e porzioni più che abbondanti. Probabilmente tutti i frequentatori di Lakey Peak sono qui, sono surfisti giovani e meno giovani, fotografi di diverse nazionalità, c’è una bella energia, molti salutano il nostro gruppo, ci danno il benvenuto ed inizia una conversazione piacevole, del tutto priva di qualunque tensione. Gory il fotografo del gruppo degli spagnoli si fa immediatamente notare per il suo modo buffo di esprimersi, non parla inglese, ma a gesti si fa capire bene, senza alcun ritegno mangia e gesticola allo stesso tempo, è davvero un tipo naif.

I giorni si susseguono velocemente anche se i ritmi sembrano paralizzati e scanditi da movimenti lenti, sarà il caldo… mi adatto con estrema facilità.

La mattina da queste parti si svegliano tutti prestissimo, perché le onde migliori si surfano dalle 5:00 fino alle 10:00, poi si alza il vento e anche la marea.

luke.sumbawa

Passeggio sul reef per fotografare i surfisti che scompaiono tra i tubi formati dalle onde. Guardandoli librare agevolmente sull’acqua mi viene voglia di seguirli, ma non è il posto adatto ad una principiante come me, meglio limitarsi a spiagge con fondali sabbiosi come Kuta Beach a Bali!

Nel camminare sulla passerella di roccia lavica, che affiora quando la marea è bassa, noto che sotto le mie ciabattine di gomma c’è un mondo semi-sommerso fatto di stelle marine scure con tentacoli lunghissimi, coralli rossi, conchiglie di varia foggia e tinta, nonché ricci purpurei dagli aculei acuminati, vedo di quando in quando anche qualche serpentello striato bianco e nero; scopro in seguito essere il velenosissimo Laticauda Colubrina, chiamato comunemente 20 seconds-snake, visti i soli 20 secondi di vita che resterebbero dopo un suo morso, ma fortunatamente è di indole molto tranquilla e la sua apertura mandibolare non gli permette facilmente di mordere noi umani.

BASSA MAREA 2 SUMBAWA

I pomeriggi li passo a fare snorkeling e a passeggiare su quella spiaggia che sembra non finire mai, un giorno avventurandomi più in là del solito scopro un laghetto d’acqua dolce a ridosso del mare, tra le frasche scovo anche una specie di rifugio con delle scritte strane: è un bunker giapponese utilizzato durante la seconda guerra mondiale, chissà magari da qualche parte ci sono anche dei residuati bellici, la curiosità è forte, ma il buonsenso lo è di più. Sono mamma, un po’ randagia ma lo sono, meglio non fare stupidate e pensare a mio figlio: che voglia di sentirlo, ma lì non è facile telefonare, c’è solo un posto collegato alla rete telefonica e la linea cade di continuo, ovviamente di accesso ad internet non se ne parla.

E’ il giorno che precede la mia partenza, verso le nove del mattino una folla fatta di famigliole inizia a riempire la battigia, i bambini si rincorrono, le donne formano capannelli separati e distanti dagli uomini, sembrano fantasmi colorati, non si distinguono le forme femminili, sono sedute in cerchio e discutono sommessamente, quando si accorgono della mia presenza scoppiano a ridere: il mio bikini ovviamente è un po’ troppo succinto! Le guardo e sorrido, capisco che vogliono conoscermi, così più tardi sdraiata in spiaggia vengo avvicinata da un gruppetto sparuto di signore giovani e non, si siedono incuriosite vicino a me e mi fissano, una mi colpisce in modo particolare, ha un viso splendido come quello di Naomi Campbell, è giovanissima ma è già madre di tre bimbi. Non so se sia l’energia di Lakey Peak, ma non è difficile parlare con loro, qualche parola d’inglese e qualche parola d’indonesiano e ci ritroviamo a parlare di bambini, di casa e… di uomini, ridono perché dico cose un po’ audaci per loro, ma interpreto alla perfezione i loro problemi quasi identici ai nostri!

DONNE SUMBAWA

La luce si fa soffusa, il sole si abbassa sull’ultimo giorno, faccio loro delle foto, i loro occhi si illuminano davanti all’obiettivo, ringraziandomi si allontanano per ritornare al loro villaggio.

E’ sera e manca la corrente in tutta la costa sud, mi ritrovo a cenare sotto un cielo stellato e ad una fantastica luna piena, è settembre e nell’aria si sente l’avvicinarsi della fine di una stagione, diverse persone stanno per lasciare un pezzetto di cuore sull’isola e si preparano per rientrare nei loro paesi natali ricche di energia positiva, accumulata in quel paese così “fuori dal tempo”.

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